BarbieStyle, da Instagram alla vita vera: l’importanza della bambola più famosa del mondo

Barbie, la leggendaria bambola di casa Mattel, può essere considerata una delle prime ed efficaci influencer?

Partiamo con questa domanda alla quale, sicuramente, molti di voi diranno di sì: vita lussuosa, felicità ostentata, solarità e un kit variegato e infinito di case, gioielli, accessori, fisico asciutto, biondo omogeneo, capello sempre stirato e senza doppie punte, da unire ad un fidanzato eterno giovane e ricco, da esibire di tanto in tanto per ricordare al mondo di avere una vita da favola, di quelle vite che “vissero tutti e sempre felici e contenti”.

In pratica, lo stereotipo di quelli che molti credono sia un influencer oggi: ricca fuori e povera dentro.

Ci abbiamo riflettuto e siamo convinti che Barbie abbia molto da dire. Basti pensare all’interessante progetto nato su Instagram dal nome “Trophy wife Barbie” che raffigura la bambola in versione fashion blogger intenta a vivere la sua vita quotidiana con l’obiettivo di amplificare gli aspetti caratteristici della logica dei social, per svuotarli di significato attraverso l’uso dell’ironia.  

Sì, perché la Barbie in fondo è questo: una bambola che incarna lo stereotipo ideale cui tendere, la “categoria” a cui appartenere, il desiderio delle fanciulle ingenue che nella bambola rimettono i loro sogni e i loro destini da “femminucce”. Un mondo rosa ovattato e sognante, che poi è il colore dell’identificazione di genere che da sempre ci ha caratterizzati in contrapposizione al blu maschile, in cui una bimba vive giocando con le sue bambole e la Nouvelle Cuisine, rinforzando il cliché della donna che deve stare a casa ad accudire la prole mentre il marito, cresciuto con le pistole giocattolo, i soldatini, le costruzioni e le macchinine, è colui che pensa al sostentamento della famiglia, costruisce il mondo, lo guida, lo combatte per la sopravvivenza della specie. 

Photo by Sandra Gabriel on Unsplash

Quindi Barbie è un’influencer?

Sì, ma per fortuna per l’esatto opposto dell’assunto di poc’anzi. Procediamo con ordine.

BarbieStyle su Instagram

Secondo la definizione fornita dalla Treccani, l’influencer è un “personaggio popolare in Rete, che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali consumatori, e viene utilizzato nell’àmbito delle strategie di comunicazione e di marketing”.

Visto che abbiamo imparato a familiarizzare con questo termine proprio grazie a Instagram, andiamo a “leggere” il profilo di Barbie che conta 2,2 milioni di follower, un numero piuttosto significativo: il suo nome è @BarbieStyle, che già potrebbe restituirci la dimensione valoriale dei messaggi contenuti nei suoi post, e nella sua biografia troviamo “Designed to inspire”, un payoff potente, immediato, diretto ed esplicativo di quello “style” a cui si riferisce.

Uno stile in continuo cambiamento già da qualche anno, che sta evolvendosi quotidianamente e ha intrapreso una direzione forse inimmaginabile quel 9 marzo del 1959, anno di nascita della prima Barbie (il giorno dopo la Festa delle Donne, dettaglio non secondario) e che da allora si identifica come modello ideale e fonte di ispirazione per le bambine di tutto il mondo.

Uno stile che, in perfetta sintonia con le esigenze dei consumatori sempre più consapevoli e desiderosi di scegliere un brand per il suo impegno civile e sociale, vede un lavoro costante e quotidiano di Mattel e di Barbie sul fronte della lotta per i diritti di genere. Una promessa che non è più rivolta soltanto alle bambine, ma all’intera popolazione, al di là del genere.

Vediamo come.  

Barbie multietniche

La prima avvisaglia di inversione di rotta avvenne alla fine del gennaio del 2016, quando venne annunciata da Barbie un’estensione di linea nel portafoglio delle sua bambole (l’estensione di linea avviene quando, con lo stesso brand, viene lanciato un nuovo prodotto che va ad ampliare il portafoglio all’interno della stessa categoria merceologica), grazie all’aggiunta di tre nuove tipologie differenti di fisicità – alta, curvy e bassa – e una varietà di colori della pelle, stile e colore di capelli, tipologie di outfit.

Evelyn Mazzocco, all’epoca Senior Vice President e Global General Manager Barbie, dichiarò di essere particolarmente orgogliosa di aver cambiato il volto del brand che, con queste novità, diventava più rispondente alla realtà che la circondava. “Crediamo di avere la responsabilità nei confronti delle ragazze e dei genitori di riflettere una visione più ampia della bellezza”. Insomma, una bambola che inizia ad essere multietnica e rispetta gli stili delle varie etnie.

#DadsWhoPlayBarbie

Cercando di invertire e stravolgere sempre più gli stereotipi di genere che aveva abbracciato per mezzo secolo, nel 2017 in occasione dei playoff di NFL, Barbie lancia uno spot rivoluzionario. Il messaggio della campagna è “You can be anything” e vede protagoniste le bambine che giocano con le loro bambole nelle camerette, insieme ai loro papà.

L’uomo, per giunta adulto, che si trasforma abbandonando quella virilità da voce grossa e assolvendo al meglio il ruolo di padre, interpreta (anche con voce femminile) una donna che ha l’ambizione di diventare astronauta, medico, insegnante di yoga. Il gioco diventa non soltanto un momento presente di condivisione tra padre e figlia, ma anche un varco spazio-temporale attraverso il quale proiettiamo le nostre vite future, i nostri desideri, le nostre ambizioni, la nostra immaginazione.

Il papà non diventa un mero target di acquisto, bensì il principale pubblico di riferimento scelto da Mattel e Barbie a cui trasmettere la morale della favola che troviamo alla fine del video: “Il tempo che investiamo nel suo mondo immaginario è un investimento nel suo mondo reale”.

Mi vengono in mente le parole di una canzone rap del 2002 (un tempo in cui non si parlava di “purpose” o di valori di brand o di altre tematiche oggi urgenti e attuali) cantata da Nas con il titolo “I can”, in cui dei bambini cantano il ritornello della canzone guardando dritti in camera “I Know i can be what i wanna be. If I work hard at it, i’ll be where i wanna be” e il rapper nella prima strofa dice “Be, b-boys and girls, listen up! You can be anything in the world, in God we trust. An architect, doctor, maybe an actress, but nothing comes easy, it takes much practice.

E sempre a proposito di stereotipi di genere, un altro rapper italiano, Caparezza, ha stravolto quelli della virilità maschile cantando “Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti”.

Non divaghiamo ulteriormente e torniamo a Barbie.

#TheDreamGapProject

Seguendo questa scia, svestiti i panni di professioniste del futuro, trasferiamoci nel mondo reale, dove Barbie sembra voler maggiormente lasciare un’impronta. A lei interessa non soltanto la vita immaginata futura, ma anche quella vissuta presente, quella fatta di problemi e di importanti traguardi raggiunti. Ecco che il problema da affrontare diventa la disparità di genere nel mondo lavorativo e il traguardo da raggiungere non è solo la sensibilizzazione a questa tematica, ma anche l’educazione a pensare ed agire per una società che sia più equa e inclusiva.

Tutto questo si traduce in “The Dream Gap Project”, un progetto di ricerca finanziato da Barbie volto a comprendere le disparità di genere, diffondere modelli di riferimento positivi, onorare 20 Role Models a cui le bambine possono ispirarsi. Il punto di partenza è il gap esistente nel mondo STEM- Science, Technology, Engineering and Mathematics, ovvero lo scarso numero di donne che lavorano, rispetto agli uomini, nei campi della scienza e della tecnologia.

Nel bellissimo inserto di Wired per Barbie dal titolo “More Women in STEM”, si raccontano le storie di nove donne che hanno avuto successo nei campi della scienza e della tecnologia, e si forniscono anche dei dati per capire il fenomeno: nel mondo solo il 28% dei ricercatori è donna e secondo l’UNESCO, negli ultimi anni appena il 30% delle studentesse universitarie ha scelto materie STEM, una percentuale che crolla fino al 3% se consideriamo le specializzazioni e, in particolare, l’informatica.

L’obiettivo del progetto è fornire alle bambine le risorse e il supporto di cui hanno bisogno per continuare a credere di poter essere tutto ciò che desiderano. Altri dati presentati nell’inserto dicono che è tre volte meno probabile che una bimba riceva un regalo legato alla scienza rispetto ai bambini, e che su Google è due volte più probabile che i genitori cerchino “Mio figlio è un genio?” piuttosto che “Mia figlia è un genio?”.

Tra i modelli positivi presentati da Barbie troviamo:

  • Sandra Savaglio, Astrofisica e Professoressa all’Università della Calabria. La sua area di competenza è lo studio delle origini dell’universo;
  • Elena Cattaneo, Biologa e Direttrice del Laboratorio di Biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano. È esperta di malattia di Huntington;
  • Fosca Giannotti, informatica e Direttrice di ricerca in Computer Science dell’Istituto di scienza e tecnologia dell’informazione del CNR di Pisa:
  • Catia Bastioli, chimica e Amministratore delegato di Novamont e Presidente di Terna;
  • Francesca Fedeli, imprenditrice con interesse nella tecnologia applicata alla medicina. È fondatrice di FightTheStroke, impresa sociale che sostiene giovani sopravvissuti all’ictus e bambini con paralisi cerebrale infantile;
  • Giulia Baccarin, startupper con specificità nell’intelligenza artificiale, machine learning e data science. Ha fondato I-Care, azienda leader in Europa nella manutenzione predittiva, e Mipu, acceleratore di imprese innovative;
  • Rita Cucchiara, ingegnere e Direttrice del Laboratorio nazionale di intelligenza artificiale e sistemi intelligenti Cini Aiis;
  • Maria Chiara Carrozza, bioingegnere, Ordinario alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Direttore scientifico della Fondazione Don Carlo Gnocchi;
  • Valeria Cagnina, tech-nerd nel campo della robotica. È fondatrice di OfpassiON, azienda di robotica educativa.

A proposito di Gender gap, una ricerca condotta da HypeAuditor, una tecnologia innovativa allo scopo di rendere il mercato dell’Influencer Marketing più equo e trasparente, ha rilevato che questo divario esiste anche nell’ambito lavorativo in questione.

Nello specifico, gli influencer uomini sono più pagati delle influencer donne per le loro attività di creazione dei contenuti e questo divario salariale è pari o oltre al 7%. Addentrandoci maggiormente nelle varie tipologie di contenuti multimediali, le Stories di Instagram vedono una retribuzione media di 809$ per gli uomini contro i 633$ delle colleghe donne, mentre per collaborazioni più strutturate, che prevedono un pacchetto di contenuti multimediali dal post in feed alle stories e ai video, in media una donna viene pagata 2704$ a fronte dei 4042$ degli uomini.

Il Gender Pay gap è una realtà che, al di là dell’ambito lavorativo, esiste e si dibatte quotidianamente, tanto che un hashtag su Instagram ne raccoglie le testimonianze quotidiane nel mondo: #GenderPayGap

Concludendo e rispondendo alla domanda di apertura, Barbie può essere considerata una vera e propria influencer? La risposta è un Sì, pieno, urlato e convinto.

Barbie è un’influencer che ci invita a riflettere ed agire, che promuove dei comportamenti virtuosi nella speranza di rendere il mondo un posto bello da abitare. Se vogliamo un cambiamento dobbiamo agire affinché questo avvenga, non abbiamo alibi e non abbiamo scuse. Soprattutto, non dite che la Barbie è un modello di riferimento errato.

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