Dac7: le piattaforme digitali e il fisco

Dac7: piattaforme digitali e fisco

Il 1° dicembre 2020 i Ministri dell’Economia e delle finanze della Comunità europea riuniti in videoconferenza hanno raggiunto un accordo tecnico in tema di cooperazione amministrativa fiscale.

Il pacchetto di interventi va a modificare la Direttiva europea sulla Cooperazione Amministrativa 2011/16/EU, più conosciuta come DAC7.

Di cosa si tratta e perché ci interessa?

Nel luglio 2020, mentre il mondo intero si chiedeva se e come avrebbe potuto passare qualche giorno in vacanza, i Ministri discutevano il Tax Package, un insieme di misure fiscali avente per obiettivo quello di realizzare un sistema di tassazione che fosse maggiormente equo, efficiente e sostenibile, estendendo le procedure di scambio automatico delle informazioni fiscali anche alle piattaforme digitali.

Alla fine del 2019, quando lo scenario virulento non era catastrofico, il rapporto The Digital Economy Report 2019 dell’United Nations Conference on Trade and Development fissava al 15% del Pil mondiale il valore dell’economia digitale, con Usa e Cina a fare da padroni e con un’Europa affaticata alle loro spalle, pur presentando un apparato legislativo più forte, grazie all’introduzione del GDPR.

A preoccupare l’Ecofin sono i modelli di business delle piattaforme digitali, che hanno la capacità di essere sia infrastruttura che intermediario andando così a creare un forte squilibrio nel gioco equo dei mercati. Complessivamente, le piattaforme digitali con una capitalizzazione superiore ai 100 milioni di dollari ha toccato i 7 trilioni di dollari nel 2017, segnando un +67% rispetto a due anni prima. Tra queste spiccano sette super-piattaforme: Microsoft, Apple, Amazon, Google, Facebook, Tencent e Alibaba che hanno conquistato il 40% del mercato.

Fonte: Sole 24 ore

Questa incidenza considerevole, unita alla necessità di regolamentare ulteriormente il settore, ha portato i ministri dell’economia e delle finanze europei, riuniti sotto la Presidenza italiana di turno, a riprendere il discorso della collaborazione tra gli Stati membri e a raggiungere un accordo.

Soddisfatto il ministro dell’economia italiana Roberto Gualtieri.

Cosa prevede l’accordo

In base a questo accordo, dal 2023 le autorità fiscali degli Stati membri si scambieranno automaticamente informazioni sui redditi percepiti dai venditori sulle piattaforme digitali.

Google, Amazon, Facebook, Instagram e altre forniranno, in maniera automatica, i dati delle transazioni effettuate dai venditori sulle loro piattaforme.

È previsto un obbligo per i gestori della piattaforma di raccogliere e verificare le informazioni riguardanti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che utilizzano la piattaforma (cd. “reportable sellers”) per la vendita di beni, servizi o in relazione ad operazioni di crowdfunding.

Tra le informazioni che necessitano di essere comunicate troviamo: nome, cognome, codice fiscale o partita IVA dell’utilizzatore della piattaforma, la denominazione sociale in caso di persona giuridica ovvero nome e cognome nel caso di persone fisiche, l’ammontare dei corrispettivi pagati o accreditati in ciascuno dei periodi oggetto di monitoraggio.

In tutto si prevede un pacchetto di 25 misure volte a rendere il fisco più equo e a semplificare la normativa per armonizzarla tra i vari Stati membri.

Questa misura contribuirà a:

  • prevenire l’evasione e l’elusione fiscale connesse alle attività svolte su tali piattaforme,
  • rafforzare l’equità fiscale,
  • promuovere condizioni di parità sia per le piattaforme che per i loro venditori.

Il progetto consente di migliorare le operazioni di controllo e audit anche congiunto tra Stati membri e sarà operativo a partire dal 2024.

Quindi, le piattaforme diventano dei collaboratori fiscali degli Stati membri. Pensiamo a Instagram e Facebook che in questo 2020 hanno sviluppato molte funzioni per aiutare soprattutto creator e piccole imprese a rimanere a galla e alle implicazioni di questi obblighi di legge. Restano dei dubbi sull’applicazione concreta della fattispecie, alla luce del fatto che molti Social Media Manager o agenzie di comunicazione operano per conto di clienti attraverso il Business Manager. La domanda che sorge è quindi questa: saranno tassati i responsabili della comunicazione, social media manager e agenzie di comunicazione, pur sapendo che le transazioni sono a nome e a beneficio del brand che gestiscono?
In più, non sarebbe magari maggiormente opportuno rivedere il regime fiscale vantaggioso di cui godono le piattaforme, piuttosto che andare a colpire chi le piattaforme le utilizza per business?

Sicuramente è un ottimo ulteriore passo in avanti nella regolamentazione del sistema, ma la strada appare ancora molto lunga.