Iger della settimana // Remmidemmi

Sandro Giordano, in “arte” @__remmidemmi è un attore napoletano, autore del bellissimo progetto “In extremis” (bodies with no regret).

Nato per gioco, cerca di “denunciare” quanto siamo attaccati ai nostri oggetti a cui spesso teniamo molto più che alla nostra salute.

A chi non è mai capitato di cadere e preoccuparsi più dello smartphone, del cocktail, o di un piatto?

È così che nasce il progetto di Sandro che oltre agli apprezzamenti dei follower e delle persone che si “imbattevano” nelle sue foto, ha catturato anche l’attenzione di Instagram che ha voluto intervistarlo per il suo blog e annovera tra i propri follower anche Kathy Ryan, direttrice della Fotografia del New York Times Magazine.

I suoi “set” sono sempre scelti con cura e i dettagli, in apparente disordine, sembrano tutti in posizione casuale, tranne uno: quello per il quale è stato sacrificato tutto il resto.

Chi sei, cosa fai nella vita e come nasce la tua passione per la fotografia? In particolare, quando “scopri” Instagram?

Mi chiamo Sandro Giordano, ho 44 anni e sono diventato fotografo per caso grazie al progetto __IN EXTREMIS (bodies with no regret) nato su Instagram, social network che conoscevo ma non avevo mai preso in considerazione. Era giugno del 2013 quando una mia carissima amica mi spinse ad aprire un profilo. All’inizio postavo tramonti e monumenti: una noia mortale. Poi un bel giorno una mia collega attrice (ho fatto l’attore per vent’anni), mi chiese di scattarle per gioco una foto “bizzarra” durante le prove di uno spettacolo che stava per andare in scena. Io la vidi immediatamente schiantata con la faccia contro il pavimento alla fine di una lunga scalinata e scoppiai a ridere. Il giorno dopo postai la foto ed ebbe subito un grande successo.

Ne feci altre e da quel momento non mi sono più fermato. Il numero dei followers cresceva smisuratamente e io mi gasavo sempre di più. Non capivo lì per lì dove sarei arrivato, ma sentivo che dovevo continuare. Circa sei mesi dopo mi contattò il team di Instagram chiedendomi di rilasciare un’intervista che venne pubblicata poco dopo sul loro blog e sulla pagina ufficiale, dandomi in pasto a circa trecento milioni di utenti… Da quel momento: l’esplosione!

__VAI VIA SOPHIACome nasce il tuo progetto creativo? C’è stata una causa scatenante oppure è un’idea nata e studiata a tavolino?

Come dicevo poco fa, è nato per gioco, ma è correlato a una brutta caduta in bici avvenuta sempre in quell’estate. Era agosto, stavo tornando a casa, non ho visto una buca e ho fatto un bel volo di circa un paio di metri.
Durante la caduta, istintivamente ho stretto l’oggetto che tenevo in mano (una barretta proteica), anziché gettarlo per tentare di parare il colpo. Poche settimane dopo, un mio amico si è fratturato una gamba cadendo da uno scoglio per salvare lo smartphone. Non tutti, sia chiaro, ma la maggior parte delle persone è vittima di ciò che possiede. Poco a poco, andando avanti, mi sono reso conto che stavo raccontando la mia storia. Raccontavo, e continuo a farlo, di persone che cadono o sbattono perché sopraffatte da un peso della vita diventato insostenibile. Lo schianto fisico è solo la conseguenza di una caduta interiore, spirituale. Spesso perdiamo il senso della nostra vita per dare spazio a cose di dubbia importanza. Così va il mondo, soprattutto quello occidentale.

Un tuo scatto come nasce? La scelta della location, l’allestimento, gli oggetti… come vengono scelti… e soprattutto quanto tempo impieghi dall’arrivo sulla location allo scatto finale?

Prendo ispirazione da tutto ciò che mi circonda. Osservo attentamente la vita degli altri, i loro comportamenti, le nevrosi (le mie comprese), e trasformo in chiave assurda e grottesca tutto quello che metabolizzo. A volte mi viene un’idea e immagino subito lo schianto, altre volte è una location particolare a ispirarmi. Una volta trovata, faccio un paio di sopralluoghi munito di macchina fotografica, studio poi lo spazio al computer per qualche giorno e comincio a fantasticare sulla posizione del corpo, la disposizione degli oggetti, quali colori mi piace buttare dentro e via dicendo. Inizio a cercare in giro per la città tutto il materiale di cui ho bisogno, contatto i miei collaboratori, stabiliamo la data e partiamo con lo shooting. Solitamente impiego circa tre/quattro ore per realizzare una foto, la fase di preproduzione è molto più lunga e complessa, almeno tre settimane. Quella di post produzione, che consiste in piccoli interventi con Photoshop, richiede circa una settimana. Le mie foto, e ci tengo sempre a sottolinearlo, sono molto “artigianali”: quello che vedi è tutto reale. Non uso manichini, ma solo gente in carne e ossa, e come  ho appena detto, l’intervento del computer è davvero marginale. Mi piace creare la scena e adottare trucchetti “spartani” per ingannare il pubblico, è quella la sfida più bella, sarebbe troppo facile rifare tutto al computer.

__MORTACCI VOSTRAChi sono i protagonisti delle tue foto? Amici, parenti, figuranti? Si prestano volentieri a entrare nelle tue foto o lo fanno con ritrosia?

Lavoro con i miei vecchi colleghi, quindi quasi tutti attori. In un paio di foto ho schiantato anche mia madre, ci teneva tanto. In ogni caso, mi è difficile lavorare con persone del tutto sconosciute, e sono in tanti a chiedermi di posare per questo progetto. Mi piace creare una sorta di famiglia, uno spazio intimo nel quale potersi muovere con disinvoltura e leggerezzaN.

Nel mio lavoro amo tanto il bianco e nero e le atmosfere rarefatte di @darkolabor, la follia di  @davidhenrynobodyjr e i colori accesi di @benedettodemaio.

Stories, gallery, video, boomerang, immagini rettangolari…pensi che abbiano stravolto troppo Instagram o semplicemente arricchito? Tu li usi nel tuo progetto?

Ho scaricato l’ultima versione e non mi ha entusiasmato per niente. Ora in alto sulla “home” c’è una colonnina orizzontale le cui icone tonde mi segnalano la presenza di piccoli video realizzati dai contatti che seguo. Trovo questo inserimento davvero inutile, anche perché la qualità del materiale presentato è scadente e di poco interesse. Che motivo c’è di aggiungere questa funzione quando già è permesso realizzare video da caricare nella propria pagina? Instagram è nato come luogo in cui poter condividere foto e quindi comunicare attraverso esse, ora sta diventando altro ed è un gran peccato. La possibilità di caricare immagini rettangolari, questo ho trovato interessante.

Hai mai collaborato con aziende o con progetti di associazioni? Come ti poni in questo caso?

A settembre dell’anno scorso mi ha contattato una firma di moda per realizzare una foto con i loro capi. L’ho pubblicata a novembre, ma non ne sono uscito soddisfatto da questa collaborazione. I tempi erano troppo stretti e io non sono stato messo in condizione di fare fino in fondo quello che volevo. Tra un paio di mesi invece, inizierò a pubblicare le foto realizzate insieme ad un’elegantissima galleria di Montecarlo specializzata in design italiano vintage che va dagli anni Trenta agli anni Settanta. Abbiamo realizzato insieme dieci foto e il progetto si chiamerà: __IN INTERIORS (style with no regret). Ci sarà sicuramente una mostra, forse nel mese di luglio. Sono molto eccitato all’idea di presentare queste nuove foto… Da schianto, ovviamente!

__AMANITA MI FAVORITACi sono foto cui sei più legato?

Come chiedere a un padre quale figlio ama di più: è difficile rispondere. Ogni foto rappresenta una parte intima di me, ha una sua storia e un processo di lavorazione spesso molto faticoso. Forse in questo periodo sono
particolarmente legato a __AMANITA MI FAVORITA, che purtroppo non è stata ben accolta dal pubblico. Amo la composizione, i colori, la follia e la sua storia, forse la cosa meno comprensibile. Nella foto c’è una tatuatrice che si schianta mentre sta tatuando. Nell’atto di cadere, sfregia la gamba della cliente sulla quale stava realizzando un piccolo cuore rosso, facendole una brutta riga nera. La cliente urla dalla disperazione senza rendersi conto che la causa di questo brutto e inaspettato incidente è giusto in piedi alle sue spalle. Infatti, dalla porticina in alto a sinistra è entrato E.T. come cliente successivo, con in mano il tatuaggio che vorrebbe gli venisse disegnato. La tatuatrice, incredula, perde i sensi di fronte a una visione tanto bizzarra. In realtà, è in preda a una grande allucinazione. L’amanita muscaria è forse il fungo più velenoso e quindi allucinogeno che ci sia al mondo. La tatuatrice ne aveva mangiati alcuni poco prima di iniziare a lavorare. Se noti bene, in basso a sinistra, sopra la mensolina di vetro da lavoro c’è un cestino ribaltato da cui fuoriescono i funghetti. Altri pezzetti sono sul pavimento vicino alla testa della protagonista. I colori, l’abbigliamento da “pin up” anni ’50 della cliente sul lettino, lo stesso pupazzo di E.T…. Tutto fa parte dell’allucinazione. L’inquadratura dall’alto ha voluto proprio porre l’accento su quest’aspetto. È come se lei fosse uscita dal suo corpo e si vedesse da fuori. Purtroppo non l’ha capito nessuno, e quindi la amo ancora di più.

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