Correva l’anno 2012 quando Facebook acquistò Instagram per 1 miliardo di dollari, contribuendo a cambiare radicalmente il nostro approccio alla fotografia, al modo di fare business e alla nostra vita.
Se ci pensiamo, otto anni non sono molti, ma in questa epoca iperconnessa i ritmi sono talmente tanto sostenuti che, a volte, non facciamo in tempo ad assimilare tutti i cambiamenti in atto e, in altre, capita che non abbiamo nemmeno tanto tempo a sufficienza per indagare su alcuni elementi, classificandoli come scontati, giusti, assodati, “normali”.
Proprio il termine “normale” è quello che ci deve interessare in questa sede.
La sua etimologia ci dice che deriva dal lemma latino “norma”, traduzione di “squadra”, ossia uno strumento che veniva utilizzato per tracciare angoli retti. Da qui la “rettitudine” e nel senso più traslato “norma”, “regola”, “legge”, “criterio”.
Oggi crediamo “normale” e, quindi, accettiamo senza remora alcuna tutti i meccanismi di funzionamento di Instagram. Il comportamento della maggior parte degli utenti è quello di svegliarsi al mattino, aprire l’applicazione, vedere gli ultimi caricamenti dei followers, magari “postare” la propria colazione nel feed o nelle stories, cercare brand, prodotti, personalità, progetti, iniziative e chi più ne ha, più ne metta.
C’è un’altra cosa che facciamo in maniera automatica: condividere i post che non sono nostri e che ci piacciono. E qui la domanda fulcro di questo articolo: quali sono le regole che è bene conoscere per evitare di violare i diritti degli utenti e incorrere in possibili sanzioni?
Procediamo con ordine.
È notizia di qualche giorno fa la fine della querelle giudiziaria tra Mashable e la fotoreporter Stephanie Sinclair iniziata un paio di anni fa. Come riporta Pambianco News, “famosa per i suoi reportage pubblicati su testate quali New York Times e Time Magazine, la fotografa Stephanie Sinclair aveva citato nel 2018 l’editore digitale Mashable per aver utilizzato un’immagine estrapolata dal proprio profilo Instagram. Prima di utilizzarla attraverso l’embedding (incorporamento), Mashable aveva proposto una ricompensa di 50 dollari all’autrice che aveva rifiutato. Lo scatto è stato ugualmente utilizzato e, secondo quanto dichiarato lunedì 13 aprile dal giudice Kimba Wood del Southern District di New York, i lettori di Mashable sono stati in grado di riconoscere la provenienza originale della foto, sebbene pubblicata attraverso un terzo server, ovvero Instagram.”
Per farla breve, il giudice ha dato ragione alla rivista Mashable, la quale ha provato la non sussistenza dei fatti alla luce dei Termini di utilizzo e della privacy policy di Instagram, nei quali si legge esplicitamente che:
“Non rivendichiamo la proprietà dei contenuti dell’utente che ci concede la licenza di usarli. Nessun elemento relativo ai diritti dell’utente sui propri contenuti ha subito modifiche. Non rivendichiamo la proprietà di qualsiasi contenuto pubblicato dall’utente sul Servizio o tramite lo stesso. Al contrario, quando l’utente condivide, pubblica o carica un contenuto coperto da diritti di proprietà intellettuale (ad es. foto o video) in relazione o in connessione con il nostro Servizio, ci concede una licenza non esclusiva, non soggetta a royalty, trasferibile, conferibile in sottolicenza e globale per la trasmissione, l’uso, la distribuzione, la modifica, l’esecuzione, la copia, la pubblica attuazione o la visualizzazione, la traduzione e la creazione di opere derivate dei propri contenuti (nel rispetto della privacy e delle impostazioni dell’app).”
Di tutta risposta, la fotoreporter ha attuato un sistema di tutela che consiste nel cambiamento del suo profilo da pubblico a privato.
Qui sorgono tantissime altre domande, perché i dubbi sono numerosi. Per questo abbiamo cercato di fare chiarezza con l’Avvocato Raffaele Monaco, per comprendere meglio l’aspetto legale e ragionare sulle implicazioni delle condizioni d’uso per quanto riguarda i professionisti e la loro tutela: “Quando nel 2013 Facebook acquisì Instagram, molti ricorderanno che ci fu una polemica proprio in ordine alle nuove condizioni di utilizzo dell’app che erano penalizzanti, in particolare per i fotografi professionisti. Con la pubblicazione di una fotografia su Instagram, l’utente concede all’applicazione una licenza d’utilizzo dell’immagine che può essere anche trasferita ad altri. Non perdiamo la paternità della foto, dovremo essere sempre citati come autori della stessa, ma non potremo opporci alla sua utilizzazione per gli scopi indicati. La sentenza Mashable va in quella direzione e non è nemmeno tanto sorprendente.” Aggiunge inoltre: “Scaricando l’app firmiamo un contratto, ricordiamocelo”.
Sebbene la sentenza del giudice dello Stato di New York sia un precedente molto importante per tracciare una strada verso la regolamentazione della disciplina, è vero anche che il campo di applicazione è da rinvenire nelle Condizioni d’uso della piattaforma in questione. Quindi, prima di poter parlare di violazione di diritti, quali il copyright o il diritto d’autore o la proprietà intellettuale, occorre avere ben chiare le norme che regolano la piattaforma.
Le condizioni d’uso di Instagram
Instagram, come detto all’inizio dell’articolo, appartiene a Facebook. Lo specifica anche nei Termini di utilizzo del “Servizio”.
“Benvenuti su Instagram.
Le presenti Condizioni d’uso regolano l’utilizzo di Instagram e forniscono informazioni sul Servizio Instagram, descritto di seguito. Creando un account Instagram o usando Instagram, l’utente accetta le presenti Condizioni.
Il Servizio Instagram è uno dei Prodotti Facebook forniti da Facebook Ireland Limited. Le presenti Condizioni d’uso costituiscono l’accordo tra l’utente e Facebook Ireland Limited.”
Dopo una breve disamina su quello che il Servizio si propone come obiettivo, si sciorina la sezione relativa alla “Normativa dei dati” in cui Instagram spiega che l’utilizzo della piattaforma presuppone la raccolta e l’utilizzo dei dati da parte dell’utente, rimandando a due sezioni importanti quali:
- Normativa sui dati: che spiega come vengono raccolti, analizzati e utilizzati gli stessi;
- Impostazione di privacy e protezione di Instagram, per dare la possibilità all’utente di controllare le proprie informazioni.
Anche l’utente ha delle obbligazioni nei confronti della piattaforma. Essendo Instagram un servizio aperto che tende all’inclusività, il suo accesso è negato:
- Ai minori di 13 anni;
- Ai soggetti sui quali i termini di utilizzo possano gravare;
- Ai soggetti che abbiano violato leggi o all’account precedentemente bloccato per la violazione della normativa della piattaforma;
- Ai soggetti con condanne per violenza sessuale.
Resta da comprendere il confine di un potere di controllo e vigilanza di Instagram sui soggetti in violazione della legge nazionale o sovranazionale, che può essere esercitato in maniera preventiva per evitare l’utilizzo del Servizio a quegli utenti a cui sarebbe interdetto. Per aprire un account Instagram occorre una mail valida e un nome, si possono alterare le informazioni, dichiarare il diverso e ottenere un profilo in meno di un minuto. Ecco che il controllo quindi arriva successivamente all’ingresso nella piattaforma di un utente. E non mancano le azioni di rimozione di account falsi o contra-legem da parte di Facebook.
Poi si passa in rassegna una lista di comportamenti vietati agli utenti nell’utilizzo della piattaforma e rimette al senso di responsabilità personale. Le prescrizioni previste dicono che:
- L’utente non può utilizzare identità diverse della propria o fornire informazioni inesatte. Certo non è obbligatorio rivelare la propria identità, ma le informazioni devono essere esatte.
- L’utente non può agire in modo illegale, ingannevole o fraudolento o per uno scopo non legittimo o non autorizzato. Qui si capisce che in caso di violazione si applica la legge ordinamentale di riferimento del Paese in cui l’azione è stata attuata.
- L’utente non può violare (o aiutare o incoraggiare altri a farlo) le presenti Condizioni o le nostre normative, in particolare le Linee guida della community di Instagram, la Normativa della Piattaforma Instagram e le Linee guida sulla musica. Maggiori informazioni su come segnalare un comportamento o un contenuto sono disponibili nel loro Centro assistenza.
- L’utente non può adottare comportamenti volti a interferire con o pregiudicare il funzionamento previsto del nostro Servizio.
- L’utente non può tentare di creare account o accedere a o raccogliere informazioni in modi non autorizzati.
- L’utente non può tentare di acquistare, vendere o trasferire alcun aspetto del proprio account (compreso il proprio nome utente) o richiedere, raccogliere o usare credenziali di accesso o badge di altri utenti. Sul fenomeno di vendita degli account sappiamo tutti che esistono compravendite e non si deve nemmeno andare a scavare nel deep web, ma basta trovarsi in qualche gruppo Facebook.
- L’utente non può pubblicare informazioni private o riservate o effettuare azioni che violano i diritti di altri, compresi i diritti di proprietà intellettuale.
- L’utente non può usare un URL o un nome del dominio nel proprio nome utente senza la nostra previa autorizzazione scritta.
La parte cattiva termina qui, poi inizia la parte bella, quella relativa all’uso consentito dal Servizio agli utenti. O meglio, a quello che ogni utente consente ad Instagram nell’utilizzo del suo Servizio.
Instagram precisa che “l’utente ci concede le autorizzazioni necessarie per la fornitura del Servizio.”
Quindi specifica che:
- Non rivendichiamo la proprietà dei contenuti dell’utente che ci concede la licenza di usarli. In pratica è stato il punto che la difesa di Mashable ha opposto all’accusa della fotoreporter Sinclair. Di fatto, una volta condivisi i nostri contenuti, concediamo una sub licenza alla piattaforma circa il loro utilizzo. Ci fa sapere Instagram che esistono dei modi per revocare questa licenza: eliminando il post oppure impostando il profilo come privato. Il dubbio rimane circa la visibilità del lavoro di un professionista e tutto quello che ne consegue in termini di personal branding e brand awareness, motivo per cui potrebbe pensare di migrare verso altre piattaforme dalle regole diverse, anche se non dovessero trattarsi di social network così capillari e penetranti come Instagram.
- Autorizzazione all’uso di nome utente, immagine del profilo e informazioni relative a relazioni e azioni in merito ad account, inserzioni e contenuti sponsorizzati. Facebook, per la parte business del suo Servizio, richiede anche la carta di identità laddove si tratta di un account pubblicitario che realizza delle sponsorizzate, in modo da rivalersi sul responsabile. Tutti i dati relativi alle sponsorizzate sono visibili solo a chi le effettua, ma non al resto della platea degli utenti, nel rispetto della privacy.
- L’utente accetta che possiamo scaricare e installare aggiornamenti al Servizio sul suo dispositivo.
Nelle condizioni d’uso della piattaforma, si intende che il rapporto sinallagmatico avviene tra l’utente e Instagram e che ogni concessione a terzi delle disposizioni, degli obblighi e dei diritti sottesi all’accordo tra le parti, non è ammesso senza l’autorizzazione esplicita della stessa piattaforma. Resta pertanto fondamentale capire la gestione della controversia specifica che si genera in caso di violazione dei termini. In questo caso, Instagram ci offre la territorialità di riferimento in termini di applicazione delle normative in loco vigenti.
“Per quanto concerne i consumatori che risiedono abitualmente in uno Stato membro dell’Unione Europa, trovano applicazione le leggi dello Stato membro in questione in relazione a eventuali reclami, azioni legali o controversie nei confronti di Facebook derivanti o correlati alle presenti Condizioni (“reclamo”), che è possibile risolvere dinanzi a qualsiasi tribunale competente dello Stato membro che gode della giurisdizione nell’ambito del reclamo. In tutti gli altri casi, l’utente accetta che il reclamo venga risolto dinanzi a un tribunale competente della Repubblica d’Irlanda, nonché che la legge irlandese disciplini le presenti Condizioni ed eventuali reclami, indipendentemente da conflitti nelle disposizioni di legge.”
Conclusioni
È divenuto prassi accedere ad Instagram, condividere le nostre attività e quelle altrui, ma è bene capire quello che potrebbe succedere in caso di violazione di un diritto nazionale o sovranazionale o anche solo di una condizione interna della piattaforma, ferma restando la nostra assoluta buona fede nel compiere un’azione che ormai è considerata “normale”.