Archeologia, storia dell’arte, musei e biblioteche: queste discipline e questi luoghi sono stati il simbolo di un’idea polverosa e stantia di cultura. La loro reputazione è per anni rimasta fossilizzata su considerazioni che le hanno fatte passare come materie antiche, a tratti noiose ed immobili, se non per pochi addicted. Ma, con l’avvento dei nuovi media e dei social network, è ancora corretto mantenere questa stima?
Volendo risolvere questi dubbi con una piccola indagine sulla questione, abbiamo chiesto delle risposte ad Antonia Falcone. Pioniera del binomio archeologia – racconto digitale, in questo botta e risposta ci ha illustrato sì gli sviluppi e i risultati raggiunti a seguito della sua intuizione, ma anche di come sia possibile non solo narrare, ma rendere interessanti rinvenimenti, scavi, studi, ricerche, quotidianità e passioni culturali, informando e incuriosendo anche chi non mastica la materia. Armata di piccone, pala, elmetto e smartphone, Antonia ha costruito un vero e proprio punto di riferimento on line, sfruttando le potenzialità del web non senza tralasciare qualche piccola sorpresa nata grazie al potere divulgativo e interattivo dei social.
Ciao Antonia! Nella vita reale, come in gran parte della realtà che racconti sui social, ti occupi di archeologia. Notoriamente, l’archeologo è uno di quei lavori che spesso i bambini sognano di fare da grandi. Anche per te è stato così?
Ciao Roberta! Ovviamente anche per me, come per molti miei colleghi, la folgorazione sulla via per Damasco per l’archeologia è arrivata molto presto, nell’incoscienza dell’infanzia.
Ho deciso che da grande avrei fatto l’archeologa a 8-9 anni, quando i miei genitori mi hanno portata in Grecia per il mio primo viaggio all’estero. Galeotta fu l’acropoli! Davanti alla maestosità e al nitore del Partenone, io, bimbetta entusiasta, chiesi a mio padre “Chi trova queste cose?” e mio padre, in un momento di ingenuità che poi tanto avrebbe contato nella mia vita, rispose “Gli archeologi”. E lì fu naturale la consequenzialità dell’esclamazione “Allora io da grande voglio fare l’archeologa!”
A questo poi aggiungi Indiana Jones, che proprio negli anni 80 esplodeva come fenomeno pop, e la frittata è fatta!
Quando hai cominciato, su che piattaforme web e social hai mosso i primi passi? E perché?
Professione Archeologo nasce nel 2013 da subito come sito wordpress per la facilità di gestione in autonomia che la piattaforma offriva. All’epoca (sembrano passati secoli in termini digitali) le piattaforme social più utilizzate, almeno in Italia, erano Facebook e Twitter, quindi è stato più che naturale sfruttarle subito. Sembrerà assurdo, ma in Italia non esistevano pagine dedicate a tematiche archeologiche, quindi posso dire senza tema di smentita che Professione Archeologo è stato un esperimento da pionieri! Proprio per questo la pagina è cresciuta molto in fretta e ad oggi i quasi 23k sono frutto solo di traffico organico, non ho mai sponsorizzato nulla su Facebook. Twitter invece è stato utile per creare una rete, trovare contatti e incontrare prima virtualmente, poi realmente, colleghi e appassionati. Senza contare il fatto che nei primi anni il blog aveva uno spirito molto “protestatario”, quindi Twitter è servito a lanciare campagne di sensibilizzazione verso le tematiche professionali del settore e ad aggregare una community.
Aggiungo che, all’inizio del nostro percorso (Professione Archeologo è stato fondato da me e Domenica Pate), uno degli obiettivi era quello di utilizzare anche Youtube come canale di divulgazione e comunicazione dell’archeologia: infatti sul nostro canale ci sono dei video risalenti proprio a quel periodo (video terribilmente dilettantistici, che visti ora sembrano davvero risalire all’età della pietra del digitale). Con il passare del tempo ho accantonato youtube per la mancanza di tempo da dedicarci.
Nel 2013 Instagram era agli albori ed era usato soprattutto dagli appassionati di fotografia: il primo post di Professione Archeologo risale al 20 marzo 2016. Da allora, l’account è cresciuto tantissimo, oggi conta 11.4k followers e forse è il profilo legato ad un blog strettamente archeologico più seguito in Italia: una bella soddisfazione!
@professionearcheologo: da dove nasce l’idea di rendere social un lavoro intriso di antichità?
L’idea è nata banalmente nei pomeriggi indolenti trascorsi a Lecce, mentre preparavo gli esami della Scuola di Specializzazione: girando online e facendo ricerche su google avevo notato una carenza di siti e portali che raccontassero davvero il mestiere dell’archeologo con le sue tante sfaccettature e le sue mille difficoltà, un mestiere che svolgevo e che conoscevo bene. È venuto naturale pensare di raccontare su un blog la mia vita quotidiana, meno emozionante certo di quella di Indiana Jones e Lara Croft… Il supporto dei social è stato poi fondamentale per ampliare l’audience e costruire una community che si identificasse con le tematiche del blog: archeologi professionisti, studenti di archeologia e semplici appassionati, il target di Professione Archeologo si è costruito e rafforzato nel tempo.
Mi piace credere inoltre che il legame tra passato e futuro possa trovare la sua mediazione culturale proprio nel mestiere dell’archeologo: un archeologo trova nel presente le tracce della vita passata, e ne dà un’interpretazione che poi lascerà ai posteri. È proprio in virtù di questo che l’archeologo non deve e non può solo rifugiarsi nel passato, ma cercare di guardare sempre avanti e visto che siamo nell’Era Informatica bisogna che ci adeguiamo anche noi. I social inoltre dovrebbero aiutare a confrontarsi con il pubblico: per molti anni l’archeologia si è auto reclusa in una torre d’avorio, mi sembrava giunto il momento di aprire le finestre di quella torre.
Che risposta c’è stata e c’è tutt’oggi da parte dei follower?
Senza followers non ci sarebbe Professione Archeologo. Ricordo ancora non emozione il primo commento arrivato sul blog sotto un articolo, i primi like sotto i post di Facebook e i primi followers su Instagram: l’idea che ci siano persone interessate a quello che scrivi fa sempre un certo effetto (anche a distanza di anni). Devo dire che la mia community è molto partecipe: i post su Instagram hanno un tasso di engagement molto alto e rispondo quotidianamente a Direct Message: si tratta perlopiù di studenti o aspiranti archeologi che mi chiedono consigli e dritte per affrontare questa professione. Non ho mai dovuto gestire flame eccessivi o rispondere a critiche pretestuose, la community di Professione Archeologo è formata da utenti rispettosi con i quali mi piace dialogare anche in presenza di opinioni differenti.
E la parte più bella è quando girando per musei o aree archeologiche incontri un follower che ti riconosce e con il quale fare due chiacchiere di persona, superando il confine del virtuale!
Ritieni che Instagram – e tutte le sue possibilità creative – sia un buon mezzo di comunicazione nel tuo settore?
Instagram vive di immagini. L’archeologia vive di immagini. Credo che non ci sia un’accoppiata migliore. La suggestione della foto di un monumento famoso, di un’area archeologica, delle vetrine di un museo conquista tutti: il passato a livello visivo ha un impatto fortissimo perché nella sua frammentarietà richiama immediatamente alla mente ciò che doveva essere in origine e che oggi non è più visibile integralmente.
Il valore aggiunto di Professione Archeologo sta poi nel rendere “visibile” (scusate la ripetizione) cosa fa un archeologo in cantiere e in laboratorio: guarda la ruspa, fa le foto, prende le quote, raccoglie cocci, scheda i materiali, disegna in autocad. Tutto un insieme di attività che difficilmente compaiono nei film o in televisione: e invece Instagram, nella sua immediatezza, ha il potenziale visuale per raccontare tutta un’altra storia rispetto all’archetipo dei mezzi di comunicazione tradizionali.
Questa mission ti è servita anche per raccontare off line il tuo lavoro, a platee esperte o meno? E che possibilità relazionali e lavorative ti si sono già aperte?
Da quando ho aperto il blog sono state innumerevoli le occasioni in cui ho potuto parlare pubblicamente del mio lavoro, sia da archeologa che da community manager e blogger: dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum a TourismA di Firenze, passando per seminari, conferenze e incontri nei musei. Senza la mia vita virtuale difficilmente avrei conosciuto delle persone che poi sono diventate non solo contatti lavorativi, ma soprattutto amicizie. Oggi grazie a Professione Archeologo (e devo ammetterlo, soprattutto grazie alla visibilità offerta da Instagram) redigo articoli sponsorizzati per il blog, collaboro con case editrici e tengo lezioni per master e corsi. Non ne ho ancora fatto un lavoro a tempo pieno, perché, poi a me piace essenzialmente la vita da cantiere e sporcarmi di terra!
Molto spesso, racconti la tua quotidiana vita da archeologa anche su @archeoantonia. Qual è il confine narrativo che valichi – o non valichi mai – tra la gestione del tuo account e quello di @professionearcheologo?
@archeoantonia è lo spin off di @professionearcheologo: racconto non solo la mia vita da archeologa, ma anche la vita quotidiana. Il confine è sempre stato molto netto (soprattutto nei copy e nel linguaggio), anche se negli ultimi tempi ho deciso di sperimentare una sovrapposizione parziale che possa aiutare gli utenti ad associare me stessa al blog/account così da superare una certa spersonalizzazione della quale mi sono resa conto soffriva l’account Instagram di Professione Archeologo: vedremo se funziona! Lo sai meglio di me che i social sono una continua sperimentazione, aggiustando il tiro fino al raggiungimento dei risultati sperati.
Ti è mai capitato – anche se sembrerebbe impossibile – di dover affrontare haters o discussioni provocatorie, sia come @archeoantonia che come @professionearcheologo?
Sembra impossibile eppure qualche haters ce l’ho anche io. Paradossalmente non su Professione Archeologo, dove i followers sono migliaia, ma sul mio account personale che conta 2k e soprattutto su Facebook (terra di polemiche). Piccole scaramucce che poi finiscono con un ban nel peggiore dei casi o a tarallucci e vino. Cerco di non darci peso, anche se devo ammettere che è difficile restare indifferenti quando qualcuno critica il tuo lavoro senza sapere ciò che c’è dietro. I peggiori poi sono quelli che non ti citano direttamente, ma usano locuzioni complesse per rivolgersi indirettamente a te (tanto io poi vengo sempre a sapere tutto grazie ai miei amici informatori sui social, ahahahah).
Quale pensi possa essere il futuro di questa tua narrazione social e quali le possibili altre occasioni che si possono ancora sviluppare?
Vuoi la verità? Non ne ho idea. Mi sono affidata sempre molto all’istinto che mi ha fatto scegliere una strada piuttosto che un’altra, che mi ha guidata nelle collaborazioni, a questo sesto senso e mezzo ho aggiunto molto studio, confronto con i colleghi e insaziabile curiosità da alimentare.
Se dovessi dirti un sogno nel cassetto che ho da qualche tempo è quello di scrivere un libro sulle mie avventure da archeologa: però avrei bisogno “solo” di un po’ di tempo libero in più per scrivere e di un editore disposto ad accettare questa sfida. Vedremo! Ho sempre costruito tutto pian piano, senza ambizioni sfrenate.
Una ultimissima domanda di rito: quanto delle tue passioni e del tuo lavoro c’è negli “Angelers”, il gruppo fan ufficiale (possiamo dirlo?) di Alberto Angela, di cui sei fondatrice?
Il gruppo Angelers – Fan di Alberto Angela è nato per gioco l’8 aprile 2016 (giorno del genetliaco del Sommo), oggi conta 24k iscritti ed è super attivo. In realtà monitoravo già da mesi il fenomeno online, in particolare su Twitter dove il mercoledì sera gli utenti si scatenavano commentando le puntate di Superquark. Ho quindi provato a lanciare l’hashtag #Angelers, ispirandomi ai fandom delle popstar tipo le Beliebers o le OneDirectioners: l’idea era quella di “comunicare al mondo” che un divulgatore culturale era venerato come una star. E ha funzionato. Ormai quasi tutti i sabato sera l’hashtag #angelers entra in trending topic e la community è diventata un luogo di incontro sia virtuale che reale. Il prossimo appuntamento è a Firenze per TourismA, dove l’anno scorso ci siamo incontrati in trenta e quest’anno conto che saremo ancora di più. La produzione di contenuti nel gruppo è costante, ho deciso di non mettere l’approvazione dei post così da permettere la condivisione in tempo reale dei commenti alle diverse trasmissioni o ai firmacopie di Alberto. Per questo motivo è di fondamentale importanza l’aiuto che ricevo dalla co-admin Stefania Piccin e dai moderatori Sara Maria Scatolino e Rocco Ventre. Approfitto di questo spazio per ringraziarli!
E Alberto Angela, cosa ne pensa?
Beh lui di certo sa della nostra esistenza, non fosse altro che agli eventi ai quali partecipa c’è sempre una nostra delegazione con i Vessilli Angelici ben visibili e devo dire che non ci nega mai un cenno di saluto o un occhiolino dei suoi. Perché, come ripetono spesso gli Angelers: Alberto è prima di tutto un gran signore!