L’autunno in Barbagia e le ‘domos antigas’ di Meana Sardo

A cura di @claudiazedda_sardegna (admin @igers_sardegna)

L’autunno in Sardegna lo vedono in pochi: è come una primavera che non ti aspetti, calda ma non troppo, colorata di colori morbidi che ricordano la terra ma ti fanno pensare intensamente al cielo.

Autunno qui sull’isola è soprattutto riscoperta di piccoli e grandi borghi che diventano protagonisti durante la manifestazione @AutunnoinBarbagia.

Quello di Meana Sardo (9 ottobre in contemporanea con Gavoi e Onanì) è stato per me un inizio, qualcosa di simile ad un battesimo: prima di Meana ero una fan sfegatata di Instagram, dopo Meana Sardo sono una fan sfegatata di Instagram e nuova leva della grande famiglia che è Instagramers Sardegna. Wow! Ancora non ci credo!

I borghi dell’Isola sono sempre belli, ma quando li visiti in occasione di Autunno in Barbagia succede qualcosa di speciale: le vecchie case, le “domos antigas” aprono le proprie porte. Così ti capita di imbatterti in un giardino incantato, privato, segreto, per pochi, in una casa dentro la quale da decenni ha messo radici una pianta di fico, ti imbatti per caso in antichi forni sardi che hanno visto volare via molti decenni e passare molte generazioni, ti capita di scivolare dentro cantine che profumano di passato e puoi ammirare oggetti che non parlano, ma avrebbero molte cose da raccontare.

Alle 10 del mattino Meana Sardo era già un via vai di curiosi ed esploratori che ne percorrevano il largo viale principale perdendosi poi nei dedali intricati del paese antico.

Prima tappa del tour Casa Paulesu, protagonista “su pani pintau”, letteralmente pane pitturato. Si tratta di un pane artistico, lavorato con pinzette, forbicine, rotelline e coltellini il cui risultato finale è stupore assicurato. A lavorarlo c’erano solo donne, d’altronde in Sardegna il pane è cosa da donne, e nessuno è più bravo di loro. Leggenda vuole che siano state le janas, le fate nostrane senza ali né bacchetta, a trasmettere il sapere della lievitazione e panificazione, e quelle signore, tutte assieme sembravano proprio janas, incantevoli e un po’ magiche.

I pani decorati se li sono portati via giovani donne in costume tipico del paese, con forti richiami al rosso, corpetti ricamati e sfarzosi e lunghe gonne morbide e scintillanti. Li hanno adagiati su larghi cestini, coperti con panni di lino e trasportati fino al forno sardo. Il profumo di pane saltellava di via in via.

Molte, moltissime foto e poi è stata la volta del “pani ‘e saba”, il pane di sapa (vin cotto). A Meana Sardo viene preparato soprattutto durante il periodo pasquale. Farina, sapa, lievito madre, nocciole e noci tagliate in grandi pezzi, scorza d’arancia, semi di finocchietto sono alcuni degli ingredienti che danno vita a un dolce materno, gustoso, ricco, che ti rimette al mondo. La cottura è in forno sardo a temperatura moderata. Per questo normalmente il pane ‘e saba viene infornato dopo il pane. Insomma il protagonista ideale della rubrica #sardegnaintavola.

A proposito a breve i racconti gastronomici su @igers_sardegna si arricchiranno con le mie foto ricette delle quali parlo da tempo sul mio sito, in un mix fra tradizione e cibo, leggende e storia che fa della mia Sardegna qualcosa di veramente incredibile.

La terza tappa del tour è stata dedicata alla preparazione de “su succu”. Il piatto tipico di Meana Sardo, noto con varianti anche in altre località sarde, è a base di brodo di pecora e pasta di semola e uovo. La pasta tirata rigorosamente a mano viene fatta bollire nel brodo, e si versa in una teglia alternandola a del formaggio (casaxedu e pecorino), strutto e pepe. Si inforna e dopo poco su succu è pronto.

Tra una tappa e l’altra abbiamo assaggiato il “civalgeddu frittu” (pane fritto) dell’ottimo cannonau, e visto all’opera un anziano calzolaio che con il cuoio fa magie. Si chiama Luciano Pes e “su sabatteri” lo fa da quando aveva 14 anni. Ha le mani vecchie, ma il cuore è pronto a sorridere. Le nostre foto, le nostre domande, lo hanno divertito. A noi invece la sua arte, le sue risposte, il suo ridere ci hanno fatto più ricchi. Ma questa è un’altra storia della quale abbiamo raccontato su #creatoadartesardegna.

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