L’etica dell’influencer: intervista ad Alessandro Magni

influencer marketing

L’etica, secondo il vocabolario Treccani, è “ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane”.

Se aggiungiamo a etica l’aggettivo professionale, la sostanza non muta e anzi rafforza il concetto che le attività professionali, quali che siano i settori di appartenenza, debbano essere svolte nel miglior modo possibile, senza recare danni a terzi, rispettando la buona fede della controparte ed evitando di perseguire esclusivamente il proprio beneficio.

L’etica è un fenomeno universale.

In ambito lavorativo, l’aderenza dei lavoratori ai principi etici della propria professione è garantita dalla deontologia, un insieme di norme comportamentali atte a delineare i confini del proprio agire quando si svolgono delle attività professionali, al fine di impedire di ledere la dignità e la salute di chi è destinatario dell’operato.

Va da sé che alcuni ordini professionali (avvocati, architetti, medici, psicologi per citarne alcuni) elaborino dei codici deontologici di cui sono tutori, prevedendo anche sanzioni severe per chi non rispetti i dettami inseriti. Un codice di condotta che è tutela tanto per il professionista quanto per il fruitore della sua opera professionale.

Alcune professioni sono sprovviste di questi codici e la deregolamentazione sfocia, talvolta, in comportamenti opportunistici poco trasparenti e poco conformi ai principi etici dello svolgimento stesso.

È quello che succede, ad esempio, al mondo dell’influencer marketing, settore professionale ancora troppo giovane (secondo l’opinione pubblica), ma capace di generare un fatturato in Italia di circa 280 milioni di euro e in grado di sviluppare 450 mila posti di lavoro.

Della professione e della sua etica, io e Milena Calogiuri, Local Manager di IgersLecce, ne abbiamo parlato con Alessandro Magni, uno tra i fashion & travel influencer più amati e seguiti, già attenzionato da GQ nel 2015 come uno dei più promettenti. Globetrotter ambito, il suo nome, ultimamente, è balzato agli onori della cronaca, in maniera positiva, dopo il servizio inchiesta de Le Iene.

Alessandro Magni. fashio & travel influencer
Foto di Alessandro Magni

Il programma di Italia 1 ha voluto condurre un esperimento con sette influencer, chiedendo loro di associare la loro immagine a prodotti che erano chiaramente nocivi e che non rispettavano norme in tema di tutela ambientale e diritti umani. A far vacillare gli influencer era il cachet elevato che veniva proposto dai finti manager al fine di indagare chi avrebbe anteposto il rispetto (di sé, degli altri, degli animali e del pianeta) al mero guadagno economico.  

Alessandro Magni è stato un influencer scrupoloso e ha rispedito al mittente la proposta.

Domanda: Ciao Alessandro, intanto grazie per questa intervista e ti facciamo subito una domanda sottovalutata: come stai?

Risposta: Sto bene considerando il periodo. Penso comunque di aver fatto la mia parte procedendo con le vaccinazioni. È un periodo un po’ rallentato, ma l’importante è stare bene e sperare che si possa riprendere come prima, più di prima.

D: Tra alberghi di lusso, super car e luoghi incantevoli, dove ti trovi adesso?

R: Adesso sono a Milano, è un periodo di stallo. Da un lato tutto è più tranquillo, molte attività si sono fermate, penso ai viaggi ed altre attività che avevo programmato e che sono state rimandate, annullate o revisionate per le nuove disposizioni di legge. Allo stesso tempo è un periodo di intensa attività di programmazione e pianificazione sperando che da marzo si possa riprendere.

D: Parliamo di te: sei partito anticipando i tempi, mischiando moda e fotografia, comunicazione (che è la tua Laurea) e tecnologia. Quanto è difficile mantenere questi standard, aggiornarsi e destare l’interesse del pubblico che ti segue oltre che dei brand che vorrebbero ingaggiarti?

R: Premetto che la mia fortuna è data dal fatto che questa attività sia nata, sia cresciuta e continui ad essere una passione. E quando c’è questa allora tutto risulta più “facile”, o comunque naturale.

La cosa che è diventata più difficile negli anni è mantenerla, per vari motivi:

  • Prima eravamo poche le figure nate sul web e considerate influenti. Col tempo si è saturato il mercato e sotto la voce “influencer” ora vengono annoverate figure che non rientrano pienamente nella categoria, penso ai personaggi pubblici. C’è stato un miscuglio nel tempo e risulta quindi più complesso mantenere una propria identità senza confondere chi ti segue, che può non comprendere cosa fai e come lo stai facendo rispetto a prima. È importante avere coerenza.
  • Negli ultimi due anni sono cambiate le carte del gioco perché sono stati introdotti nuovi formati, penso ai Reel di Instagram, e si fa molta più attenzione alle tendenze. Stare al passo con le piattaforme e con le tendenze è difficile, richiede tempo, ma questo denota anche un utilizzo consapevole delle potenzialità dei social stessi. Pensando sempre a Instagram, la sua evoluzione è stata da semplice piattaforma di condivisione di fotografia a vero e proprio strumento di comunicazione interattivo. Bisogna sfruttare le potenzialità, ma sempre rimanendo coerenti.

D: Un utente come può comprendere la differenza tra le varie figure che indossano il cappello di influencer?

R: Credo che ci sia un problema di gap informativo. Da anni la tv, i mass media in generale, presentano la figura dell’influencer con un’accezione negativa, risultando così derisa e poco valorizzata. Questa posizione confonde l’utente.

Ci sono due macro-classi di influencer: i “nativi”, cioè coloro che sono nati direttamente sul web, hanno fatto gavetta, esperienza e un percorso di interazioni reali con il proprio pubblico creando una community di valore pura.

E poi ci sono i “personaggi pubblici” o chi proviene da altri canali, e magari anche i fenomeni virali che, senza avere degli studi alle spalle, finiscono per screditare la categoria, poiché l’interesse dell’opinione pubblica è rivolta più ai numeri che fanno che al contenuto che propongono. Sono fenomeni, specialmente quelli virali, nati all’improvviso, che lasciano il tempo che trovano. E anche gli utenti rispondono alla stessa maniera, poiché seguono la persona quando è nel pieno dell’hype per poi abbandonarla quando le luci dei riflettori si spengono.

Alessandro Magni, fashion & travel influencer
Foto di Alessandro Magni

D: Parlavi della necessità di doversi adeguare alla piattaforma che si presidia, ma qual è il tipo di formato che tu preferisci?

R: IGTV non le ho mai usate perché troppo lunghe, mentre YouTube è più sensato per quel tipo di contenuto. Inoltre, ho letto una ricerca che afferma che questo formato è stato quello di minor successo su Instagram. I Reel mi piacciono molto e dovrei farne di più, richiedono tempo per realizzarli bene e con criterio. Ho notato che i Reel che funzionano sono quelli a contenuto informativo o di tendenza che sono anche divertenti. È un contenuto interattivo, veloce e centrato bene sul target.

Essendo nato nel periodo in cui Instagram era un social di fotografia, mantengo il focus su questo formato, magari apportando modifiche utili e interessanti. Penso ai Caroselli, che mi permettono non soltanto di pubblicare la foto di copertina, ma anche di raccontare qualcosa in più, di andare dietro le quinte, di creare lo storytelling degli eventi e perché no anche di pubblicare scatti, sempre coerenti con il racconto, che magari singolarmente non avrei mai pensato di pubblicare.

D: In una recente canzone, il rapper Marracash dice che arriveremo a candidare in politica direttamente gli influencer. Lungi dal sapere se è tua intenzione farlo, ci interessa piuttosto comprendere cosa ne pensi tu di questa forte rappresentatività che un influencer raccoglie: non è più (o non soltanto) un mero testimonial di prodotto alla Carosello maniera, ma diventa un personaggio (celebrities delle volte) capace di rappresentare una fetta di pubblico e i suoi interessi, i suoi ideali, i suoi sogni e condizionarla nelle scelte non soltanto d’acquisto, ma anche ideologiche.
Secondo un’indagine 2019 di IPSOS, il 66% degli italiani ha acquistato un prodotto o servizio promosso dagli influencer. Cosa ne pensi di questo potere?

R: In origine credevo che social e politica fossero due mondi separati e che tendenzialmente fosse bello che il social rimanesse un luogo di svago e leggerezza. Ma mi rendo conto che è cambiato lo scopo dei social, che diventano sempre più mezzi di informazione e ci può stare che la politica si avvalga di questi come strumenti di comunicazione. D’altronde la politica ci ha reso consapevoli che chi la fa proviene dai settori più disparati, ma è importante, e lo ripeterò sempre, essere coerenti e avere conoscenza delle dinamiche dei social e che non sia solo una moda o un cavalcare una tendenza che non sia in linea con i propri valori, ma utile soltanto a “fare numeri”.

D: Nell’epoca di Greta Thunberg, del film come “Don’t look up”, di attivismo e di brand purpose, qual è il ruolo di un influencer secondo te?

R: L’influencer ha un ruolo importante, perché ha un raggio di comunicazione molto ampio e si rivolge a differenti fasce di persone che recepiscono i suoi messaggi e, a loro volta, come un moltiplicatore, allargano il messaggio ai propri amici e follower.

Dal mio punto di vista è importante che l’utente abbia l’intelligenza di interrogarsi sulla coerenza dell’influencer e sulla sua aderenza ai propri valori. Spero che le persone si soffermino e comprendano che ciò che l’influencer sta promuovendo, o anche solo dicendo, sia effettivamente reale e non il frutto di una moda, poiché smascherare il falso è semplice e ha degli effetti controproducenti devastanti.

D: Essere un punto di riferimento: proprio per questo Le Iene hanno svolto quell’esperimento in cui ne siete usciti “puliti” in tre. Addirittura, una tua collega, anche dopo essere stata smascherata, si preoccupava di chiedere di farle pubblicità. Alla luce di quanto emerso dal servizio, sembra che una parte del settore sia marcia e pronta a qualsiasi cosa. Qual è il problema principale secondo te?

R: A mio avviso, il problema è che alcuni influencers abbiano fatto scivoloni pubblici e su tematiche delicate, ed avendo un seguito maggiore rispetto ad altri, provocano una gogna mediatica all’intera categoria. La cosa importante è mantenere una coerenza sia di immagine che di pensiero, perché nel lungo periodo si è ripagati. È importante non svendersi o essere disposti a tutto pur di apparire, perché bruciarsi è un attimo. Non è assolutamente una buona strategia puntare tutto solo ed esclusivamente sull’immagine trascurando valori, pensieri e contenuti.

D: Cosa pensi debba essere fatto a tutela della professione? Una regolamentazione con un codice deontologico, un albo specifico, una previsione normativa atta a delineare i confini anche di una previsione economica (60k euro per un post sembrano esagerati a chiunque), potrebbero aiutare a rendere la professione ancora più tutelata?

R: Una regolamentazione esiste, anche se poco chiara, penso allo IAP – Regolamento Digital Chart. E questo dimostra come la figura dell’influencer abbia raggiunto una sorta di spessore e di maturità per il legislatore: advertising, hashtag da inserire, trasparenza ecc.

Chiaro è che non tutti lo sanno e si informano, e questo compromette anche il lavoro di chi rispetta le regole.  

Alessandro Magni, fashion & travel influencer
Foto di Alessandro Magni

D: 3 consigli che ti senti di dare a chi vuole intraprendere questo percorso professionale?

R: Il primo consiglio è quello di togliersi dalla testa che ci siano guadagni facili e veloci: prima di fare delle collaborazioni di un certo livello e di qualità, bisogna fare un percorso e sviluppare un curriculum che solo col tempo può essere considerato di valore.

Il secondo è quello di avere coerenza e costanza tra quello che si pensa, quello che si è, quello che si fa e come lo si mette in pratica, poiché alla lunga questa strategia paga.

Il terzo consiglio è quello di stare al passo coi tempi, conoscere il marketing, il digital e i social.

D: La pandemia e i due e più anni che stiamo vivendo in balia dell’incertezza ci fanno riflettere molto sul futuro di alcune professioni e sulla reale utilità, oltre che resistenza, di alcune azioni sul web. Se un giorno tutto questo dovesse finire qual è il tuo piano B nella tua vita?

R: Il futuro è quanto mai incerto, come purtroppo del resto in tutte le professioni, ma il presente lo conosciamo. Il mio Piano B è l’evoluzione della mia figura. La mia attività potrà cambiare ed è importante avere capacità reattiva e, meglio ancora, proattiva per reinventarsi. Tutto può avere un inizio e una fine, sicuramente segue un’evoluzione.

Nel mio caso, rispetto a un lavoro classico, ho avuto la possibilità e la fortuna di interfacciarmi con realtà differenti che vanno dal mondo della moda a quello del turismo (hotellerie), passando dal food al design e questo mi permette di raccogliere ciò che ho seminato in questi anni sperando di poterlo utilizzare nel futuro, per inserirmi in realtà specifiche di un determinato settore o per utilizzare la mia figura come quella di “consulente”, per supportare le realtà aziendali nell’utilizzo del web.

In generale credo ci siano differenti sbocchi futuri da valutare in rapporto alle competenze che ho appreso e sviluppato nel corso degli anni.

Alessandro grazie mille per questa piacevole chiacchierata e in bocca al lupo per il tuo futuro.

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