In questi lunghi mesi di lockdown, tantissime sono le testimonianze raccolte da chi ha voluto rendere indelebile l’emergenza da COVID-19, una delle peggiori degli ultimi anni. Tra queste, i reportage proposti dal National Geographic meritano di essere osservati e letti con una particolare attenzione, per compiere un viaggio internazionale che si fa esperienza e monito e rimanga impresso nella memoria, aiutandoci a riflettere anche sul nostro nuovo mondo.
Nel momento in cui, almeno in Italia, si sta cercando gradualmente di ritornare alla normalità (che normale come prima non sarà mai, almeno per il momento), attraverso il web – e Instagram in particolare – il nostro compito per invitarci alla prudenza potrebbe essere quello di addentrarci nelle storie che questa pandemia ha scritto in giro per il mondo.
È vero: fare una cosa del genere è potenzialmente triste. Rinvangare i momenti più atroci di una situazione che non solo ci ha colto dolorosamente di sorpresa, ma non vede ancora una fine netta e tranquillizzante non aiuta, forse, nel mettere a fuoco la speranza che questo qualcosa finirà, ma sicuramente è necessario renderci conto di come, la vita e la morte, siano state particolarmente influenzate da un virus senza pietà e confini. Pensandoci, potrebbe servire, in pratica, per ricordarci ciò che è stato e non tornare indietro, per quanto possa essere in nostro potere fare.
Tutto è stato stravolto e non possiamo far finta che non sia così. Si è parlato e si parla ancora di nuove prassi da seguire, del riadattarsi al sé, agli altri e allo spazio, in un mondo che si è fatto improvvisamente piccolo e restringente o troppo affollato per ritornare a pensare alla serenità di un contatto fisico. Si è applaudito dal balcone, cantato l’inno nazionale, conosciuto il vicino di casa, prestato attenzione a cose che davamo per scontate e che o abbiamo improvvisamente perso o a cui non abbiamo dato importanza fino ad ora. E ogni cosa è rimasta sospesa in un limbo inaccessibile: immaginare il mondo fuori è stato per lungo tempo un’anelata fantasia. Ecco perché c’è chi ha deciso di calarsi dentro questo spazio anestetizzato dal distanziamento sociale e dalla preoccupazione del contagio, per chiudere in un cassetto dei ricordi ciò di cui stiamo parlando.
Dal febbraio 2020, cioè da quanto l’epidemia di COVID-19 ha cominciato a dilagare in tutto il mondo, tanti sono stati i reportage e i racconti che sono stati prodotti. Scrittori, giornalisti, fotografi, registi e artisti: chiunque abbia avuto a disposizione l’arma della comunicazione e una spiccata vena creativa da mettere in campo per raccontare con il suo stile e linguaggio quanto stesse avvenendo, ha scritto in maniera crossmediale paragrafi di una storia più lunga e complessa che ci ha visto tutti protagonisti, attivi o di riflesso, facendo del web e di Instagram media importantissimi per la diffusione di questi progetti narrativi.
E tra questi, di particolare interesse per la sensibilità e l’immediatezza con cui le narrazioni per immagini sono state riportate, ci sono i reportage del National Geographic: un enorme racconto globale che merita un’attenzione particolare.
Il National Geographic da oltre 130 anni ha come missione quella di documentare il rapporto tra geografia e cultura umana, portandoci in giro per il mondo attraverso l’obiettivo e le angolazioni dei migliori fotografi del pianeta.
Dallo start di questa paradossale situazione, grazie a importanti firme e occhi del mondo della fotografia e del giornalismo, oltre a leggere news, approfondimenti e report scientifici e informativi, con National Geographic è possibile rendersi conto – per usare un detto comune – che “tutto il Mondo è paese” proprio perché chiunque di noi ha vissuto, gradualmente, la stessa preoccupazione sotto lo stesso cielo, un cielo che abbiamo potuto guardare e a cui abbiamo potuto rivolgerci solo attraverso le finestre delle nostre case e attraverso le aperture che il web ci ha concesso.
Navigando sull’account ufficiale Instagram@natgeo, entriamo – non senza sentire un peso sul petto rispetto alle sensazioni che questo approccio dà – in una libreria virtuale dove ogni immagine si fa pagina di questa storia. Il primo impatto non è devastante: non ci sono fotografie che subito lasciano l’amaro in bocca, ma scorrendo i vari post in gallery entriamo in un sistema narrativo globale che universalmente ci mette a tu per tu con la pandemia. Ovviamente, dietro questi istanti catturati nell’attimo, c’è tutto un mondo da allacciare fatto di approfondimenti che spiegano quelle fotografie, ma con molta probabilità nessuna parola può riuscire meglio delle immagini a dire di più rispetto a quello che è accaduto, sta accadendo e chissà per quanto accadrà ancora. Ed è la potenza e la potenzialità di questa realtà immortalata che, vestendo i panni del passato, del presente e soprattutto della memoria futura, diventa devastante.
Senza mai abbandonare il suo stile né allontanarsi da quello dei creatori di questi contributi, con National Geographic ci troviamo di fronte a reportage e scatti realizzati da dentro o da fuori le abitazioni, a immagini che immortalano per sempre il silenzio di metropoli che per definizione sembrano non dormire mai, a scatti che fermano nel tempo strade deserte o attività che hanno continuato a lavorare o le tante serrande abbassate. Come ci sono anche tante, troppe testimonianze su tutti quei luoghi che per lungo tempo sono rimasti off limits per chi non era in prima persona coinvolto: ospedali, obitori, camere ardenti, pompe funebri, cimiteri.
Ogni finestra aperta su questo mondo spaesato, parla di un tempo sospeso tra l’attesa e la paura della stessa attesa, in bilico tra l’al di qua e l’al di là, tra la vita e la morte.
Tra questi racconti, il reportage di Gea Scancarello e Gabriele Galiberti è uno dei primi che ha parlato di casa nostra, dell’Italia. Giornalista globetrotter e freelance la prima, fotografo il secondo, insieme hanno dato parola e immagine alla traumatica esperienza di Milano e dell’intera Lombardia, zone tra le più colpite dalla diffusione del COVID-19 nel nostro Paese.
Collaborando nel pieno rispetto delle normative vigenti per evitare contatto e diffusione del virus, nonostante l’ombra e il sospetto di questo abbia accompagnato tutto il progetto, Scancarello e Galiberti hanno lavorato a un racconto che, partendo da un’esperienza molto personale, si fa impressionante e diretto, specie per quel che riguarda la narrazione degli effetti del distanziamento sociale e della paura del contagio.
Confrontandosi con virologi, uffici stampa ospedalieri e specialisti, ma anche con persone comuni, commercianti, impresari, Gea Scancarello e Gabriele Galiberti sono riusciti a rappresentare il volto livido di un’Italia atterrita dalla pandemia ma vigorosa nell’affrontarla, fornendo al mondo un ritratto nitido di cosa e quanto si stesse scatenando nel nostro territorio a emergenza ancora non globale.Gli scatti – i cui soggetti protagonisti hanno raccontato al telefono la propria storia e sono stati ripresi volutamente in posa dall’altra parte delle proprie finestre, portoni e ingressi che nessuno di noi ha potuto varcare per oltre 2 mesi – colpiscono per i colori, le luci e gli occhi. Occhi ed espressioni che parlano da loro, che non hanno necessità di sottolineare che il blocco e il distanziamento sociale coatti si siano allacciati inesorabilmente a un blocco emotivo che ci porteremo dietro ancora per lungo tempo.
Ed ecco perché è importante, oggi, partire per questo viaggio geografico virtuale. Perché il viaggio insegna, e da un viaggio non ritorniamo mai uguali a come eravamo prima di partire, anche se il viaggio a cui vi abbiamo invitato a partecipare serve a cogliere ogni aspetto della realtà oltre le mura che ci hanno protetto. Queste angolazioni sono da incassare come un pugno allo stomaco che altro non è che un invito alla riflessione attraverso una narrazione forte di come si stia affrontando (il gerundio è d’obbligo) la pandemia. Affinché la nostra voglia di ritrovare libertà e normalità non si trasformino in amnesia rispetto a quello che è stato, generando una sorta di negazionismo sentimentale per cancellare la paura.
Tutti abbiamo ascoltato notizie e contato numeri che non avremmo voluto decifrare. Tutti ci siamo affacciati su prospettive che vedevano l’orizzonte della fine lontano e difficile da raggiungere. Tutti abbiamo avuto e abbiamo sicuramente una storia da raccontare. E ce chi le ha raccolte per scrivere un’assurda pagina di Storia che rimarrà per sempre indelebile nei nostri ricordi e anche in quelli di chi verrà dopo di noi. E questi racconti, questi reportage, servono proprio per farne preziosa memoria.