In principio fu Venezia, poi Barcellona e Amsterdam, seguite da Parigi, Londra e Santorini fino ad arrivare al giapponese Monte Fuji, al Macchu Picchu in Perù e persino alla lontana Islanda. Tutte destinazioni che son state colpite da un fenomeno nocivo chiamato overtourism e, di conseguenza, tutte si son unite al grido di “Tourist Go Home!”.
Cos’è l’overtourism
L’overtourism è l’eccessivo volume di turisti in una data località che, oltre a congestionare una destinazione, impatta negativamente sulla qualità della vita quotidiana dei residenti creando disagi anche ai viaggiatori stessi e alla loro esperienza turistica vista la mole di persone che si ritroverà stipata sopra quel ponte iconico, nella fila interminabile fuori da quella chiesa bellissima o fra quelle viuzze scenografiche iper colorate.
Come nasce
E’ una crescita impazzita del mondo dei viaggi, tutto il contrario di quel turismo responsabile e sostenibile tanto decantato negli ultimi anni, e le diverse ragioni sono da ricercare nella rivoluzione digitale, in quella urbana e nei meandri di quella dei low cost che ha reso i viaggi accessibili a tutti. Ma, forse e soprattutto, ad un’organizzazione che, per cause di forza maggiore, è venuta meno, essendo tutto il settore probabilmente impreparato ad una vera e propria invasione.
A cosa porta l’overtourism
Il risultato, forse inaspettato di tutti questi fattori, è una destinazione oppressa che perde piano piano la sua unicità o, peggio, la sua identità. L’overtourism costringe i residenti ad andar via, le piccole botteghe a chiudere, i commercianti ad adeguarsi alle logiche di profitto, i centri storici a trasformarsi in b&b diffusi. Cosa ne sarà allora dell’anima di una località?
Quali soluzioni adottare
C’è bisogno di soluzioni immediate per regolamentare il turismo di massa come, ad esempio, rendere più cosciente lo “sfruttamento turistico” di questo o quel luogo, magari ampliando l’interesse della massa a ciò che c’è di meno conosciuto, proprio affianco alle destinazioni più gettonate, spingendola così oltre le apparenze di un luogo e tentando un’utopica ridistribuzione dei flussi turistici le cui preferenze sembrano essere ormai tra loro identiche. Una sorta di rieducazione all’arte di viaggiare, di fare turismo, un coscienzioso passo indietro insomma.
Instagram VS Overtourism
E tutto ciò, fra le altre cose, è in linea con il nuovo trend del 2018 su Instagram. Se da una parte gli utenti viaggiano ispirati dal social network delle immagini, scegliendo le mete dei viaggi in base alle fotografie dei propri beniamini (il che potrebbe anche sembrare una inconfessata causa dell’overtourism), dall’altra parte viaggiano ispirati da ciò che in realtà non si vede, andando alla scoperta di destinazioni poco conosciute, di spot meno gettonati e, di conseguenza, meno instagrammati, per stimolare la curiosità nei propri followers ed evitare di avere una gallery come ce ne sono tante altre, alla continua ricerca di quella bramata unicità, pilastro portante del profilo Instagram perfetto.
Ad oggi più del 97% delle persone condivide sui social network le personali esperienze di viaggio attraverso fotografie e racconti di ogni genere, meglio ancora se si tratta di posti poco conosciuti, quindi poco fotografati, lontani da tutto e tutti. Turisti e viaggiatori 2.0 che direttamente e inconsapevolmente usano Instagram per trasformare l’overtourism in sano turismo sostenibile.