“Io ce la farò! Non mi lascerò sopraffare! Fino a quando non conquisterò la libertà!”.
Questa frase è di Solomon Northup, violinista di grande talento, pronunciata intorno al 1853 e restituita al nostro tempo grazie al film Premio Oscar nel 2014 “12 anni schiavo” di Steve McQueen.
Oggi, a ben vedere, dobbiamo credere che quella lotta, quella battaglia, quella resistenza siano ancora molto ricercate e partecipate negli Stati Uniti d’America. Un cammino lungo e purtroppo ancora faticoso verso il rispetto dei diritti civili. Alla luce degli ultimi avvenimenti, lo Stato a stelle e strisce combatte su diversi fronti dei nemici potenti, perché subdoli: il Covid-19, il razzismo e l’odio.
Cerchiamo di fare ordine.
Il 25 maggio un uomo afroamericano di nome George Floyd viene arrestato per il sospetto di utilizzo di una banconota da 20 dollari falsa per l’acquisto di sigarette. Il fermo è nel video che ha generato l’indignazione mondiale, poiché i 4 agenti che fermano l’uomo non applicano le regole del protocollo loro insegnato, sconfinano nell’esercizio della loro funzione di tutori della legge. L’agente Derek Chauvin preme col ginocchio sul collo di George Floyd per quasi nove minuti, provocando l’asfissia che lo porta al decesso. A nulla sono valse le sue richieste di aiuto “I can’t breathe”, assunto a slogan delle proteste che sarebbero nate nel giro di brevissimo tempo.
I quattro agenti di polizia coinvolti nell’arresto e nella morte di Floyd e per uno di loro, Derek Chauvin, è stata formulata l’accusa di omicidio.
I can’t breathe
Si dà il via alle proteste che da Minneapolis (focolaio della rivolta in questione) raggiungono tante altre città americane tra cui New York (focolaio del Covid-19). Manifestanti che gridano e chiedono giustizia per gli afroamericani, trattati ancora con evidente disparità, in un Paese che deve la nascita e lo sviluppo proprio a questa frangia di popolazione e che assurge al ruolo di esportatore di una democrazia mondiale, di cui però non è sempre capace, soprattutto dentro i propri confini.
Si ricordano anche avvenimenti passati della stessa caratura: agenti di polizia contro afroamericani. Tutti fermati, tutti morti. Ecco perché le proteste, che crescono di violenza, di distruzione, di rabbia al grido di “I can’t breathe” si uniscono in massa a quelle del movimento “BlackLivesMatter”, movimento nato nel 2013 dopo l’assoluzione di George Zimmerman, il quale aveva sparato e ucciso il diciassettenne afroamericano Trayvon Martin. Da lì è un susseguirsi di casi che riempiono le pagine di un grande diario della memoria: sono sempre agenti di polizia ad uccidere Michael Brown ed Eric Garner, e tante altre vittime sono documentate negli annali di questa pagina triste della storia dell’umanità.
Ad ogni modo il movimento Black Lives Matter non si ferma e nel suo sito raccoglie diverse testimonianze e attività contro la discriminazione degli afroamericani nella vita di tutti i giorni, in tutti gli ambiti possibili.
Chi protesta
A fianco dei cittadini americani scesi in strada per protestare e urlare a gran voce l’indignazione oltre le mascherine, il periodo storico che stiamo vivendo è certamente quello della partecipazione ferma e convinta anche delle celebrità di tutto il mondo e delle aziende.
Da Instagram a tutto l’universo Facebook, passando per Twitter e Netflix, numerosi sono gli schieramenti in favore della rivendicazione della parità dei diritti.
Si è partiti da uno #ShareBlackStories fino ad arrivare subito al #TheShowMustBePaused, vero e proprio apice della protesta che ha così raggiunto il palcoscenico globale imperversando su tutti i canali social. Un fiume nero di post e di stories a creare un mega feed internazionale con una sola grande immagine e una sola caption.
Una sorta di giornata di silenzio, come nel calcio esiste l’equivalente minuto, necessaria a far risuonare quella commemorazione a cui molte persone aderiscono. È il segno della protesta globale in tempo di distanziamento sociale, il nostro metterci in ginocchio per sensibilizzare le oppressioni e le disparità razziali, proprio come fece il quarterback Colin Kaepernick, il nostro pugno alzato alla Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico 1968.
Sony ha addirittura annunciato il rinvio dell’uscita della sua PS5, prodotto di punta della casa e pronto ad essere protagonista del futuro dell’intrattenimento a 360 gradi.
Insomma, la presa di coscienza e di posizione è molto forte e si spera non sia una semplice mossa per riempire una landing page o dei fogli della Corporate Social Responsability, quanto piuttosto il credo fondamentale che porta le aziende, al loro interno, ad applicare principi di uguaglianza e inclusione tra i dipendenti “senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” come recita il bellissimo articolo 3 della nostra Costituzione.
Chi è il nemico?
Come ogni narrazione della storia insegna, esiste anche una contro narrazione, uguale e contraria, che si fatica ad accettare, perché difficilmente ci si discosta da un nemico che abbiamo identificato in principio.
La genesi della protesta vede la polarizzazione dei valori e degli interessi nei suoi due personaggi principali: l’afroamericano da un lato e l’agente di polizia dall’altro. Il nemico pubblico, in un lasso di tempo impercettibile, diventa l’intero complesso delle forze dell’ordine e non la singola persona. Questo avviene per rancori personali, ma anche per giustificare il grido e la rabbia, l’indignazione e la frustrazione, i deliri e le distruzioni. Partono i coprifuochi che nemmeno nella Seconda Guerra mondiale (quella da cui gli Americani ci hanno liberati), si dirottano le ragioni dell’astio all’unico vero colpevole di tutta la vicenda: la politica.
Proprio i governatori, al di là dello schieramento e delle idee (Black Lives Matter è nata sotto la presidenza del primo afroamericano alla Casa Bianca, Barack Obama), sono i veri nemici da sconfiggere, perché colpevoli di essere distanti, anche fin troppo, dalle vere istanze della popolazione, dai loro bisogni e dai loro desideri.
Ed ecco che, nonostante la colpevolezza dei quattro agenti rispetto alla morte di George Floyd, sono rimasti in pochi ad avere risentimenti contro le forze dell’ordine che, anzi, sono subito scese in campo a fianco dei protestanti, innalzando così la coralità della disperazione e isolando sempre più il potere decisionale governativo.
Questa è la foto simbolo della scesa in campo dei poliziotti di Coral Glabes in Florida in favore delle proteste, e non mancano altri esempi importanti. Per esempio lo sceriffo del Michigan, Chris Swanson, è sceso in strada a rassicurare i manifestanti del fatto che i poliziotti fossero là al loro servizio e al loro fianco.
In conclusione
La strada da percorrere è ancora molto lunga per arrivare, con resistenza e determinazione, a quella libertà tanto agognata a cui faceva riferimento Solomon Northup, ma è un cammino che non deve arrestarsi mai, non deve farci deviare dai passi che ogni giorno inanelliamo uno dopo l’altro verso una meta che è raggiungibile se ci mettiamo cuore e cervello.
Dobbiamo impegnarci quotidianamente a costruire un mondo che sia inclusivo e rispettoso, accogliente ed equo. Citando il fondatore degli Scout, Lord Baden Powell: “Procurate di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo avete trovato”.