Smart Working tra aspettative e realtà

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Cosa è lo Smart Working? Perchè dobbiamo fare tesoro dell’esperienza appena vissuta? Un parere, probabilmente in controtendenza, rispetto allo stato attuale delle cose. Una grande conquista del mondo del lavoro (non pienamente compiuta) ma che, ad oggi, risulta sfruttata soprattutto in ambito pubblica amministrazione.

Smart working è una parola nuova, quasi magica. Prima di marzo 2020 in Italia era conosciuta solo da qualche sparuto gruppo di ribelli. Se ne parlava di nascosto, in circoli segreti, con timidezza e insicurezza. Si maneggiava con cura come se si trattasse di una bomba pronta ad esplodere.

All’opposto dei rivoluzionari un folto e sentito schieramento di reazionari vedeva invece nello smart working una sorta di demonio da sabotare, una bestemmia nel perfetto e puntuale metodo di lavoro ancora legato (nell’industria più che mai) alla superefficienza del sistema fordista.

C’è francamente un pò di ironia nelle parole sopra riportate che non vi saranno sfuggite (spero), ma anche molto di vero. Prima di addentrarci in un rapido (e senza pretesa di verità assoluta) storytelling, descriviamo brevemente cosa è lo Smart Working.

Con smart working (lavoro agile) si definisce un tipo di attività lavorativa slegata dai canoni standard di tempo/luogo/produzione. In soldoni si tratta di poter svolgere il proprio lavoro ovunque, grazie all’utilizzo della tecnologia, in ottica di raggiungere specifici obbiettivi. Diverso è il telelavoro: ovvero svolgere il proprio orario di lavoro e la propria mansione da casa esattamente come se ci trovassimo in ufficio. La prima parte di questo articolo, anche se fa strano, è scritta al passato per enfatizzare l’enorme epocale balzo, per lo meno dialogico, che abbiamo fatto sullo Smart Working da marzo 2020.

Prima di marzo 2020

Partiamo dal presupposto che prima di marzo 2020 sullo Smart Working sono state spese migliaia di ore di conferenze e centinaia di articoli, senza poi effettivamente avere qualcosa di calato nel concreto. Avevamo la tecnologia, avevamo la necessità di slegare (almeno teoricamente) produzione dal luogo fisico, ma 0 coraggio di provare. Esperienze di oltreoceano, o più vicine a noi in ambito nord-europeo, ci mostravano un sistema privato più agile e ricettivo al cambiamento rispetto al nostro e un apparato statale non meno aperto all’innovazione. Leggendo qualche studio vediamo che il concetto di Smart Working fa la sua comparsa negli USA addirittura negli anni 80, mentre in Europa abbiamo il boom della sperimentazione tra il 2010 ed l 2016. L’idea e la spinta innovatrice è guidata dal motto, poi verificato da numerose pubblicazioni che la produttività slegata dal luogo fisico abituale, non solo non ne risente in negativo, può addirittura aumentare.

Lo Smart Working in Italia, invece, era esclusivamente ancorato ad alcune professionalità più simili, in concreto, alla libera professione che al lavoro dipendente. Parliamo di professioni che, quando non direttamente parasubordinate (o a “finta” partita iva), risultano legate ad ambiti particolari e con obbiettivi liquidi e contingenti (la vendita, la comunicazione, l’azione di proselitismo associativo etc.).

Grandi aziende private, fiore all’occhiello della manifattura e dell’industria italiana, hanno dimostrato in questi anni una scarsissima capacità di decongestionare i processi lavorativi. Sopratutto vero nei confronti dei quadri intermedi, ovvero chi non è direttamente legato alla produzione (per semplificare: catena di montaggio) ma che ricopre un ruolo di support facilmente eseguibile da remoto. Stesso dicasi per tutte quelle attività che sono slegate, de facto, da un luogo fisico e/o non a contatto obbligato con un pubblico.

Per una arcaica e retrograda mentalità imprenditoriale, orgoglio totalmente nostrano, il controllo e la governance sui processi spingono a ritenere la lontananza dal luogo “ufficiale” di lavoro un’assenza. E come tale una diminuzione di produttività.

Questa mentalità a lungo andare ha avuto inevitabili ricadute di tipo ambientale e psicosociale: si pensi all’esempio “fantozziano” dell’impiegato che finisce il suo lavoro in 5 ore ma deve stare fermo altre 3 davanti al PC.

Per chi vi scrive l’opinione convinta è che tempo =/= produttività. La percezione è che spesso l’imprenditoria miope sia più attenta a “comprare tempo vita” piuttosto che ragionare di obbiettivi da raggiungere e ottimizzare i processi. Il mondo degli esperimenti dell’uomo “bue” di stampo Taylorista dovrebbe essere ormai un lontano ricordo…e invece. Ma stiamo divagando, ci riserviamo di approfondire questi argomenti in un eventuale altro appuntamento.

Torniamo al secondo ambito del nostro mondo del lavoro: quello pubblico. In ambito di lavoro pubblico lo Smart Working è sempre stato relegato indissolubilmente a qualche rara figura di staff e/o di tipo dirigenziale. Stop.

Dopo Marzo 2020

Dopo anni di immobilismo del settore privato e pubblico quindi (che relegavano lo Smart Working agli ambiti sopra indicati) assistiamo a qualcosa di inaspettato.

Al costo di una pandemia globale che colpisce il mondo intero vediamo lo stato e le amministrazioni locali che, con una spinta quasi miracolosa, balzano in avanti di qualche decina di anni in poche settimane superando il rampante privato praticamente ovunque. Percentuali di personale inaudite, almeno fino a qualche mese prima, si trovano nel bene o nel male a lavorare da casa in modalità smart.

Ed il privato? Nell’ambito privato nonostante esista ad oggi 1/10 dei vincoli normativi che regolano il regime pubblicistico è stato fatto poco. Troppo poco. Nel panorama lavorativo del nostro paese, con rare eccezioni, si sono distinte le aziende dedite ai servizi. Nel pieno picco della pandemia globale, che ha costretto migliaia di aziende a chiudere, abbiamo assistito ad un settore privato, composto soprattutto da aziende medio-grandi, incapace di adattarsi e di reagire senza un obbligo perentorio a livello legale e sotto la minaccia di pesanti sanzioni.

Smart Working: croce o delizia

Tutto bene dunque? No. Ci troviamo ovviamente in una fase transitoria che ha il merito di aver infuocato, per alcuni comparti, lo spirito di iniziativa e la voglia di sperimentazione. I problemi sono ancora molti. La maggior parte degli italiani in questo periodo uscirà fuori dal contesto covid credendo di aver fatto un vero Smart Working. Quando di fatto si è trattato in di un telelavoro meno “vincolato”.

Normativamente permangono ancora molti dubbi sugli istituti contrattuali applicabili o meno in modalità smart (straordinari, buoni pasto etc). I mezzi utilizzati e le infrastrutture italiane hanno mostrato un paese che non solo viaggia a due velocità tra diverse regioni, ma anche tra città e provincia. Collegamenti (rete-wifi-4g) scarsi quando non totalmente assenti hanno mostrato un limite sistemico alla spinta evolutiva. Infine lo Smart Working senza un vero diritto alla disconnessione può essere veramente un inferno. La considerazione da tenere presente è che, essendoci confrontati con una situazione di emergenza, riusciti a tamponare con i pochi mezzi a disposizione e la scarsa formazione uno scenario inedito, sarebbe davvero uno spreco oltre che miope tornare totalmente indietro. I benefici di una evoluzione di questo tipo, al contrario degli effetti negativi immediati, saranno misurabili solo tra qualche tempo.

Dice un saggio proverbio cinese: quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento.

Per chi volesse approfondire Mercoledì 17 Giugno 2020 dalle ore 17:00 su piattaforma Zoom all’indirizzo https://us02web.zoom.us/j/81292527174 si discuterà del tema con alcuni esperti.
Invito aperto a tutti.

Fonti:

  • Workplace Learning: How to Build a Culture of Continuous Employee Development – Nigel Paine
  • Psicologia del lavoro nelle organizzazioni – Pier Giorgio Gabassi
  • Ephemeral Organizations in Extreme Environments: Emergence, Strategy, Extinction Giovan Francesco Lanzara
  • DDL Cura // Rilancio

Articolo a cura di Kevin Ponzuoli

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