Come lo sport corre veloce su Instagram

Abbiamo più volte analizzato quanto sia diventato inscindibile il rapporto tra contesto privato e vita pubblica quando parliamo di comunicazione digitale e utilizzo dei social network, e anche lo sport gioca una partita importante. Ma quali sono le strategie vincenti?

Vuoi la pandemia che ci ha costretti a casa o a ridimensionare la nostra vita sociale, vuoi la maggiore produzione di contenuti da fruire virtualmente, mettiamoci anche un’enorme diffusione capillare dei nuovi media, tutto quello che è raccontabile (e spesso anche l’inenarrabile) è trasferito sui social da una gigantesca schiera di creator di immagini, pensieri, parole e opere (con qualche omissione poco instagrammabile, ndr).

Vari gli argomenti, diverse le situazioni: dalla moda al beauty, passando per i viaggi, il food e la cronaca, tutti i giorni fruiamo contenuti differenti perché c’è sempre qualcosa da dire o da scoprire, da udire o da narrare per correre veloci sul filo dell’immediatezza che combatta una FOMO sempre più pressante. Ecco perché, preso ancora una volta atto di questa premessa, ci ritroviamo ad allenare il pensiero critico concentrandoci su di un’ennesima sfera d’interesse percepita come più fisica, ma oggi particolarmente partecipata anche on line: lo sport.

Pare verosimile che rispetto a come i social media abbiano galoppato nel corso degli anni, l’ambito sportivo abbia invece rincorso diversamente lo sviluppo e le possibilità offerte da queste piattaforme, cominciando a raccontare e a raccontarsi con più veemenza in un momento successivo, tra l’agonistico e l’amatoriale.

Mondo del calcio e del basket internazionali a parte (che meglio e più velocemente sono riusciti ad adattarsi alla narrazione digitale, dato anche l’enorme numero di utenti e fan interessati a questi due sport dall’indotto già multimilionario), altre discipline, atleti e ambiti sportivi hanno intrapreso in modo più tenace il lungo percorso ad ostacoli che vuole la presenza on line quale una costante da mantenere sempre in attività per esserci ed essere riconosciuti e riconoscenti.

Il mondo sportivo sembra infatti vivere oggi più che mai un momento di avanguardia digitale crescente. Aumenta l’interesse da parte dei follower tanto quanto quello degli sportivi e dei brand coinvolti direttamente in questo campo, su cui si gioca la partita dell’innovazione tecnologica al passo con i tempi.

NFT, gamification, drop collection ed eventi esclusivi spesso presentati o proposti on line a parte, la comunicazione diretta tra atleti, brand e fanbase è allenata su piattaforme predilette quali Twitter, Facebook (specie per i Millennials di primo pelo) e, ovviamente, Instagram.

Rispetto ad altre dimensioni che vedono la figura dell’influencer e l’influencer marketing già come fenomeni quasi obsoleti, atleti e atlete costruiscono la propria reputation sportiva disputando la gara in set differenti: dai valori dello sport alle imprese, i campioni e le campionesse alimentano la narrazione digitale sui loro canali pubblicando immagini prestanti, momenti di concentrazione, prese di posizione anche su temi caldi, risultati, traguardi, momenti privati o partecipazioni pubbliche per raccontare anche il rovescio della medaglia: la propria personalità.

Azione, fisicità, prestazioni e competizione sembrano le costanti che accomunano campioni e campionesse, impegnati a rendere imprese e successi sportivi un’occasione per rafforzare il proprio personal brand. Non è raro imbattersi in storytelling digitali multilivello, che alternano backstage e allenamenti a istantanee più private. Immagini vincenti; fasi di preparazione; sudore e fatica durante gli allenamenti che diventano espressione dell’impegno una volta tagliato il traguardo: tante sono le diapositive e i video che costellano i feed degli atleti che si mettono in gioco anche sui social allenando la propria popolarità, come molteplici sono le campagne pubblicitarie che legano l’immagine di uno sportivo o di una sportiva a un particolare marchio. I brand della Sport Industry (e non solo quelli) oggi sono abbastanza attenti a scegliere i propri testimonial d’eccezione, individuati per condivisione di valori comuni, imprese sportive eccellenti, notorietà e, non meno importante, rapporto fidelizzato con la propria community.

Ma ritorniamo allo start di tutto questo, facendo un passo indietro fino al 2016.

È l’anno delle Olimpiadi di Rio, primo mega evento sportivo che vede l’utilizzo a tutto tondo delle piattaforme di social networking quali nuovi media in grado di raccontare più a fondo non solo le imprese degli atleti coinvolti, ma anche di tutto quello che ruota intorno a una manifestazione di enorme portata. Forse è proprio in questo momento che la Sport Industry apre realmente gli occhi sulle grandi potenzialità che i nuovi media comportano e su quanto gli sportivi possano trasformarsi in brand per sé stessi e per i marchi che operano in questo settore.

Secondo uno studio a cura di Amirhosein Bodaghi e Jonis Olivera (A longitudinale analysis on Instagram characteristics of Olympic champions) condotto proprio sulle performance Instagram degli atleti coinvolti durante questa Olimpiade, sono emersi spunti interessanti che ci aiutano a comprendere un fenomeno altrimenti generalizzato.

L’occhio attento di questa ricerca ha evidenziato che la comunicazione sportiva, lato atleti ma anche lato brand (che negli anni sono stati obbligati a una maggiore attenzione nel rispetto della Rule 40), sia differente a seconda dell’età, del genere, della disciplina e della dimensione culturale del Paese d’origine degli sportivi. A livello internazionale, infatti, i contenuti pubblicati appaiono leggermente differenti tra loro, ma tutti più o meno concentrati sul desiderio di rendere partecipi i follower su quello che accade anche nel dietro le quinte.

foto dal profilo Instagram di @crazylongjumper

Seppur servirebbero indagini ancora più approfondite, sembrerebbero abbastanza evidenti anche differenze nel modo di comunicare tra team sportivi e singoli atleti. Un’osservazione, questa, concretizzatasi durante le Olimpiadi di Tokyo 2020. Oltre a rimanere negli annali per essere stata una delle edizioni più particolari degli ultimi tempi (giocata praticamente a porte chiuse, cosa che ha reso necessario incrementare l’interesse sfruttando la wave dettata dall’innumerevole sfilza di strumenti a disposizione della comunicazione digitale), quest’ultima Olimpiade è stata occasione per l’affermarsi di nuove star dello sport, tanto quanto di particolari discipline che invece hanno eccelso nei risultati. Un dato interessante che si è evinto è che, spesso, la vittoria di un team è riuscita a godere della popolarità di uno tra gli atleti particolarmente performante in quella squadra e viceversa. Inoltre, pare sia stato anche evidenziato che, mentre un team vincente resta argomento di discussione sui social nel breve periodo, i singoli atleti sono in grado di mantenere alto l’interesse per più tempo, grazie anche a collaborazioni importanti con brand interessati al personaggio emerso a seguito di un’impresa sportiva eccezionale o memorabile.

Un caso è, per esempio, quello della Federazione Italiana Atletica. Secondo l’indagine a cura di Sport Thinking a crescere non è stato solo l’account social, ma anche il movimento sportivo stesso. L’atletica leggera (davanti solo alla Federnuoto, in seconda posizione), infatti, è la disciplina che ha registrato la miglior performance in conseguenza anche della maggiore popolarità dei rispettivi atleti, Lamont Marcell Jacobs (+ 561.9K in soli 17 giorni) e Filippo Tortu, il velocista che ha tagliato il traguardo per primo nella strepitosa performance di squadra nella 4×100. Ma non solo: anche la Federazione Italiana Judo, Lotta, Karate e Arti Marziali (FIJLKAM) con Vito Dell’Aquila che ha conseguito lo storico primo oro azzurro in questa 32° Edizione dei Giochi Olimpici, ha ottenuto un incremento sostanziale in quest’ottica. E non dimentichiamo Federica Pellegrini, atleta dei record sportivi tanto quanto per il suo essere un personaggio pubblico di spicco e notorietà indiscussi.

foto dal profilo Instagram di @kikkafede88

Ritornando all’analisi di Amirhosein Bodaghi e Jonis Olivera è anche emerso un punto di vista più lungimirante. Tra atleti e atlete sembra ci siano differenze di contenuto più o meno importanti anche nel momento in cui si esce dall’ambito prettamente sportivo. Gli uomini, infatti, pare siano portati a manifestare la propria sportività anche sulla base del desiderio di far emergere un dominio fisico importante, diversamente dalle donne che, soprattutto con il tempo, selezionano argomenti più sensibili e più facilmente trasmissibili sul medio-lungo termine. Con l’aumentare dell’età o con l’abbandono della carriera agonistica, inoltre, sembrerebbe calare la volontà di continuare a raccontare le proprie imprese sportive, un sentimento che però porta gli atleti a cercare altri argomenti e valori per continuare a dialogare con la propria fan base diventata community e per mantenere attivo l’interesse e il rapporto saldato nel corso del tempo. Mentre però gli uomini continuerebbero a condividere con più costanza immagini in cui sono ancora protagonisti, le donne sembrerebbero preferire una comunicazione più discorsiva, basata su contenuti meno fisici e più narrativi che le ritraggono in contesti dissimili dallo sport, ma pur sempre capaci di comunicare messaggi e stili di vita di valore.

Un’ultima constatazione, però, occorre farla su due questioni: una di genere e l’altra culturale. In questo articolo sempre a cura di Sport Thinking emerge chiaro il gender gap esistente tra uomini e donne in ambito sportivo, sia rispetto alle retribuzioni che al valore delle partnership siglate da un’atleta donna. Non basta un trionfo di follower e di interazioni per superare tutti quegli ostacoli e freni che ci mettono nella condizione di constatare quanta strada ci sia ancora da percorrere anche nell’abito dell’hate speech, pessimo fenomeno che dal campo vede la sua eco nel mondo digitale, dove spesso la possibilità di utilizzare liberamente i nuovi media viene malamente confusa con un’eccessiva libertà di credere di poter fare e dire quello che si vuole, restando impuniti.

In conclusione, quindi, il mondo è bello perché è vario. Anche quello dello sport raccontato su Instagram. Le differenze di contenuto, percezione e attività sono su larga scala influenzate da fattori demografici e culturali, ma anche dalle nuove regole del gioco che vedono gli utenti più attenti e più desiderosi di fruire contenuti stimolanti sul piano sì professionale, ma anche umano. In molti casi, infatti, più aumentano i follower o i contenuti sponsorizzati, più cala l’interesse e l’interazione della community, vero carburante della comunicazione social e unico metro di giudizio per constatare quanto ciò che è condiviso risulti effettivamente interessante. Fattore, questo, non più marginale e che stimola sempre di più gli atleti – e i creator in generale – a mantenere attivo, dinamico, costante e vincente un rapporto uno a molti che lasci un segno indelebile e non solo una serie di pixel fuggevoli.