Instagram e Social Media: uso o abuso?

Instagram e Social Media: uso e abuso

Premessa importante

Se state leggendo questo pezzo e navigate questo sito, vi è l’altissima percentuale di certezza che il mondo Instagram, e più in generale quello dei social media, vi interessi per le motivazioni più disparate: business, passione, curiosità. Perciò, non dovete assolutamente prendere queste considerazioni come una condanna, ma quali un semplice invito alla riflessione.

La generazione senza social

Chi era già dotato di capacità di discernimento a cavallo tra gli anni ’90 e i primi del nuovo millennio sicuramente ricorda la propria esistenza come comunicativamente priva di relazioni digitali: no like, no cuori, no follower, no insight e no influencer. Attività sociale analogica, in pratica.

L’avvento dei social media, e lo sviluppo velocissimo del web in generale, hanno cambiato radicalmente e nel giro di pochissimo tempo la natura dei nostri rapporti interpersonali e delle nostre abitudini, oltre che l’approccio alle informazioni e le nostre scelte. Nulla diventa esperienza reale senza aver cercato indicazioni sul web, letto una recensione o creato una story, un post, una diretta o un qualsiasi contenuto digitale condivisibile su Instagram o su altre piattaforme. E questo da un lato è meraviglioso, perché accorcia le distanze, permette di condividere le nostre impression, ci fa scoprire rapidamente mondi e visioni nuove.

Ma se, invece, prendessimo in considerazione le nostre metriche di giudizio, di quanto le ritroveremmo mutate? E quanto (e come) oggi è aumentato il confronto tra le parti?

Instagram può provocare ansia da prestazione?

Negli ultimi tempi vi è stata la pubblicazione di diverse indagini e riflessioni – sottoscritte anche da noti addetti al settore – in cui si è affrontato un argomento fino a ora sottaciuto, forse perché molto sottovalutato: i social fanno bene alla nostra salute (anche mentale)? E quanto influenzano il nostro stile e le nostre scelte di vita?

A essere forse demonizzato più degli altri è stato proprio lo strumento Instagram.

La discussione, prima incentrata sui “Millennials”, ma ora estesa a tutte le età, si è soffermata non solo sulle dipendenze tecnologiche e le conseguenze fisiche del passare tanto tempo chini su di uno smartphone o davanti a un monitor, ma anche su quanto la grande potenzialità dei nuovi mezzi a disposizione induca inconsapevolmente a una confronto serrato tra gli utenti e a un voler postare una realtà molto diversa da quella effettivamente vissuta, spesso artificiosamente composta con il fine di riscuotere il consenso del più alto numero di persone possibile. Una specie di “corsa alle apparenze” anche quando l’obiettivo non è il business (ove queste situazioni potrebbero essere giustificate, se leali, poiché nel settore pubblicitario tutto è “costruito”, per antonomasia), ma solo quello di rendere pubblici i vari momenti della propria esistenza.

“Fear of missing out”. La paura di sentirsi esclusi

Per carità, non si tratta di mettere sotto accusa il sistema o chi ne fa parte: sicuramente vi è molta spontaneità su Instagram, consapevolezza del mezzo da parte di chi lo usa per lavoro e anche molta libertà d’espressione, ma pare che sia in costante aumento il numero di utenti che si facciano passivamente condizionare così tanto dallo storytelling social, confondendo come vita reale quello che spesso non lo è, da arrivare non solo a snaturare i propri contenuti on line, ma a soffrire off line di forme d’ansia e, nel più grave dei casi, anche di depressione causate dalla preoccupazione di non apparire cool, dal non ricevere molti like e commenti, dal non avere un numero importante di follower o dal non riuscire a raggiungere gli stessi risultati dei propri modelli di riferimento (siano essi influencer o l’amico della porta accanto che ha “più successo di” sui social).

In pratica, si tratta della paura di essere tagliati fuori, di non sentirsi adeguati o presi in considerazione. Di fare fiasco.

Ma sono davvero questi i fattori odierni per decretare un fallimento emotivo e personale?  Speriamo di no.

Vale la pena soffrire per una realtà apparente?

Fermiamoci un attimo a pensare: anche mostrarsi imperfetti o piacere a pochi senza rinunciare alla propria personalità può essere un successo. Quindi, sì al confronto e all’uso consapevole e senza abusi. Non dimentichiamoci, infatti, che Instagram, come gli altri social network, nasce prima di tutto per permettere alle persone di interagire e condividere momenti spontanei della propria vita e di ritrovare contatti che si pensava fossero ormai perduti. Così come la fotografia, in generale, è servita e serve per catturare particolari anche molto intimamente percepiti della realtà circostante.

Perché allontanarsi da questi obiettivi primordiali, allora? Perché desiderare, oggi, di essere qualcuno a tutti i costi e subito, rinunciando alla propria vera sostanza e adoperandosi anche con mezzi non sempre onesti e corretti per apparire diversi? Davvero dobbiamo arrivare a pensare che sia in corso una crisi d’identità globale? Che il web venga utilizzato o meno per lavoro, non converrebbe ritornare anche un po’ a divertirsi con i social?

Forse cominciare a rifletterci su è la risposta giusta a tutte queste domande.

Per approfondire:

articolo da repubblica.it

articolo da behindthequest.com

articolo da comincenter.com

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