L’aumento esponenziale dei discorsi online che incitano all’odio (hate speech) da anni tiene aperto il dibattito su come mantenere il precario equilibrio tra il non pregiudicare diritti e libertà e arginare il fenomeno a livello normativo. Su Internet assume particolare rilievo la questione sui limiti alla libertà di espressione, in quanto collegata a ruoli e responsabilità che sulla rete sono ancora poco definiti. In questo periodo di conflitto tra Ucraina e Russia sta accadendo qualcosa di inaspettato e che non fa ben sperare.
Bilanciando i vari diritti fondamentali della persona con i limiti alla liberà di espressione, tanto per le fonti normative italiane quanto per quelle sovranazionali, emerge che al centro di tutto si posiziona il rispetto della dignità umana e il divieto di ogni discriminazione, come garanzia dei diritti umani inalienabili.
Una precisazione è necessaria: il diritto a manifestare il proprio pensiero non include in alcun modo discorsi di odio e discriminatori, già riconosciuti come reati dentro i vari livelli di ordinamento nazionale e internazionale.
Tenendo in considerazione questa premessa e che esiste una gerarchia delle fonti normative, il diritto sovranazionale impone degli obblighi nell’esercizio di controllo: lo fanno gli Stati e, in modo specifico, anche i social network come Facebook, che ha firmato nel 2016 l’apposito Codice di condotta contro l’hating online insieme a Twitter, Youtube, Microsoft, nel 2018 Snapchat e Dailymotion, nel 2019 Jeuxvideo.com, nel 2020 TikTok, nel 2021 Linkedin.
In generale, ogni social network mette a disposizione degli utenti precise linee guida per il suo utilizzo, ovvero un insieme di norme e un codice di condotta comune creati per garantire un ambiente rispettoso e sicuro, e uno spazio accogliente in cui le persone possono interagire e divertirsi. Di solito sono regole applicate su scala mondiale e spiegano quali contenuti sono ammessi e quali vietati, precisamente: violenza e criminalità, nudità, bullismo, intimidazioni, incitamento all’odio, immagini forti e violente, autolesionismo e suicidio, sicurezza dei giornalisti.
Secondo le linee guida della community di Facebook rivolte a creator e ad editor, nel capitolo dedicato all’incitamento all’odio leggiamo che “Facebook rimuove qualsiasi incitamento all’odio. (…) e suggerisce che è vietato “Pubblicare contenuti che attaccano direttamente le persone in base ai criteri indicati di seguito. Su Facebook non consentiamo la presenza di organizzazioni e persone che notoriamente incitano all’odio sulla base delle seguenti caratteristiche protette.
- Razza
- Etnia
- Nazionalità di origine
- Affiliazione religiosa
- Orientamento sessuale
- Sesso, genere o identità di genere
- Malattia o disabilità grave“.
Volendo approfondire le norme specifiche di Instagram circa l’incitamento all’odio, si viene rimandati alle norme di trasparenza del gruppo Meta che si aprono con i “Fondamenti della normativa”:
“Crediamo che le persone si sentano più libere di esprimersi e connettersi se non vengono attaccate in base alla loro identità. Per questo motivo, non consentiamo l’incitamento all’odio su Facebook, in quanto crea un ambiente di intimidazione ed esclusione e in alcuni casi potrebbe promuovere la violenza fisica offline. Definiamo l’incitamento all’odio come un attacco diretto rivolto alle persone (piuttosto che a concetti o istituzioni) sulla base di quelle che chiamiamo caratteristiche protette: razza, etnia, nazionalità, disabilità, affiliazione religiosa, casta, orientamento sessuale, sesso, identità di genere e malattie gravi. Definiamo l’attacco come discorsi violenti o disumanizzanti, stereotipi offensivi, affermazioni di inferiorità, espressioni di disprezzo, disgusto o rifiuto, imprecazioni e incitazioni all’esclusione o alla segregazione. Proibiamo inoltre l’uso di stereotipi offensivi, definiti come confronti disumanizzanti storicamente utilizzati per attaccare, intimidire o escludere gruppi specifici e spesso legati alla violenza fisica offline”.
Continuando a scorrere i divieti, tra “i contenuti da non pubblicare troviamo nel Livello 1 quelli rivolti a una persona o a un gruppo di persone:
- Discorsi di incitazione o sostegno alla violenza in forma scritta o visiva
- Discorsi o immagini disumanizzanti sotto forma di confronti, generalizzazioni o dichiarazioni comportamentali non classificate (in forma scritta o visiva) in relazione a: (…) Criminali violenti e sessuali; altri criminali; Affermazioni che ne negano l’esistenza (…).
- Derisione del concetto, degli eventi o delle vittime dei crimini di odio, anche se nell’immagine non è presente alcuna persona reale
- Confronti disumanizzanti designati, generalizzazioni o dichiarazioni comportamentali (in forma scritta o visiva)”.
Nel livello 2 i “contenuti rivolti a persone o a gruppi di persone sulla base delle loro caratteristiche protette che contengono:
- Generalizzazione che affermano l’inferiorità (in forma scritta o visiva) nelle modalità seguenti: carenze fisiche, mentali e morali (…).
- Altre affermazioni di inferiorità, inadeguatezza, espressioni di disprezzo, di rifiuto, di odio, di disgusto, di repulsione, imprecazioni, termini volgari con l’intenzione di insultare (…)”.
Fin qui nulla da dire.
Il gruppo Meta partecipa al conflitto russo-ucraino
A modo suo.
Qualcosa è più chiaro e altro meno.
Il 25 febbraio 2022, il giorno successivo all’annuncio di Putin in cui dava il via all’operazione militare nel Donbass, così di fatto iniziando l’invasione dell’Ucraina, Meta dichiarò la creazione di un gruppo specializzato dedicato all’analisi dei contenuti collegati al conflitto tra Russia e Ucraina. Lo ha annunciato Nick Clegg, presidente per gli affari internazionali e la comunicazione del gruppo, sul suo profilo Twitter: “La situazione in Ucraina è devastante. Abbiamo stabilito un Centro operativo speciale, costituito da esperti e madrelingua, per rispondere in tempo reale ed eliminare contenuti con discorso di odio, incitamento alla violenza o che infranga le nostre regole”. Non è la prima volta che il grande social network crea gruppi di questo tipo per temi internazionali e geopolitici. Lo aveva già fatto nell’agosto del 2021 per monitorare i contenuti relazionati con i talebani e quando eliminò la pagina dell’esercito del Myanmar per violazione delle norme di utilizzo.
Il 10 marzo, secondo una rivelazione della Reuters, ancora in constante aggiornamento, il gruppo Meta permetterà agli utenti di Facebook e Instagram di alcuni Paesi di pubblicare commenti violenti contro i russi e i soldati russi coinvolti nell’invasione dell’Ucraina, di conseguenza non solo una sospensione delle sue politiche interne in merito al discorso di odio, ma anche un mancato rispetto delle leggi sovranazionali. Va in controtendenza con una campagna di incitamento all’odio.
La diga è già aperta. Dalle segnalazioni che continuano ad arrivare all’agenzia Reuters, in precisi Paesi, Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Russia e Ucraina, su Facebook e Instagram è già possibile leggere commenti in cui si augura la morte del presidente russo, Vladimir Putin, o del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Tali contenuti violenti vengono permessi se riferiti al conflitto russo-ucraino, pertanto la moderazione terrà conto di alcuni specifici indicatori di credibilità, come il luogo e il modo.
Nella mail inviata alla Reuters si legge: “We are issuing a spirit-of-the-policy allowance to allow T1 violent speech that would otherwise be removed under the Hate Speech policy when: (a) targeting Russian soldiers, EXCEPT prisoners of war, or (b) targeting Russians where it’s clear that the context is the Russian invasion of Ukraine (e.g., content mentions the invasion, self-defense, etc.).
A conferma di ciò, dall’analisi dell’aggiornamento delle norme su violenza e incitazione all’odio del gruppo Meta emergono nuovi passaggi anche nella versione italiana aggiornata all’11 marzo 2022:
- “(…) Facebook considera un insieme di segnali per determinare se nei contenuti è presente una minaccia di violenza. Questi includono, in via non esaustiva, i contenuti che potrebbero incitare alla violenza o alla discriminazione imminente, il trovarsi in un periodo di tensione elevata (come un’elezione o un conflitto in corso) e l’esistenza di precedenti di violenza recenti contro il gruppo protetto preso di mira. In alcuni casi, potremmo inoltre considerare se chi parla è un personaggio pubblico o occupa una posizione di autorità (…)”.
- (…) Riconosciamo che le persone in alcuni casi condividono contenuti che incitano all’odio di cui non sono autori allo scopo di condanna o sensibilizzazione. In alcuni casi, discorsi che potrebbero altrimenti violare i nostri standard possono essere usati in modo autoreferenziale o per rafforzare una causa. Le nostre normative sono pensate per lasciare spazio a questi tipi di discorsi, ma chiediamo alle persone di chiarire le proprie intenzioni. Quando l’intenzione non è chiara, possiamo rimuovere il contenuto (…).
La guerra non è più solo militare. Oggi assistiamo da vicino ad un nuovo tipo che, al resto già noto all’immaginario collettivo, aggiunge il coinvolgimento attivo della società civile non direttamente implicata nella vicenda. Inoltre, se da un lato la Russia annuncia grandi restrizioni ai mezzi di comunicazione, come ad esempio il blocco di Facebook e la forte limitazione di Twitter, RT e Sputnik, dall’altro lato Facebook apre, andando in deroga alle sue norme interne e sovranazionali, concedendo la possibilità di insultare, denigrare, incitare all’odio e alla violenza, russi e militari russi.
Il risultato è che, per il gruppo Meta, in un conflitto la dignità umana non esiste più e, quindi, non va considerata, incentivando comportamenti che per legge sono reati a tutti gli effetti.
In più contrasta con gli standard dichiarati:
Nel tentativo di impedire e fermare gli atti di violenza nel mondo reale, non consentiamo a organizzazioni o persone che proclamano missioni violente o che commettono azioni violente di essere presenti su Facebook. Valutiamo queste entità in base al loro comportamento online e offline, in particolare per quanto riguarda i legami con la violenza. In base alla presente normativa, designiamo persone, organizzazioni e reti di persone (…).
La discussione sulle piattaforme digitali è vasta e democraticamente rilevante. Che cosa risponderà l’Europa davanti la decisione di Meta?
Qual è il guadagno nel coinvolgere i cittadini europei delle nazioni sopra citate e alimentare il conflitto permettendogli di sparare proiettili di parole di odio e violenza contro altri esseri umani? Tutti i russi sono colpevoli di questo conflitto?
E se le parole si trasformassero in azioni vere?
In questo momento storico postpandemico promuovere l’odio per il conflitto russo-ucraino è voler alimentare ancora di più il dolore delle persone. Questa non è la via della risoluzione del conflitto né della pace né della felicità.