Sanremo e il miracolo della creatività resuscitata

L’anno scorso proprio qui su questo blog abbiamo dato i numeri su Sanremo. Quest’anno, smettendo per un attimo i panni di quella che intervista la gente, ho sentito forte la necessità di riparlarne sì, da Sanremo addicted quale sono, ma per celebrare un miracolo a cui volente o nolente abbiamo assistito tutti: quello della creatività resuscitata.

Rispetto alla scorsa edizione forse siamo quindi usciti a riveder le stelle dopo un lungo espiare le colpe di un’asimmetria tra vecchi e nuovi media e modi di comunicare, arrivando alla conclusione che l’intero Festival della canzone italiana ha finalmente dimostrato che è ormai impossibile prescindere da una scrittura e una lettura multicanale del tutto e che sì, un ritorno al peccato originale della comunicazione integrata fra analogico e digitale non è solo necessario, ma obbligatorio.

Forse dirò un’eresia, sicuramente non è né il primo né l’unico caso (la storia dell’arte e della musica docent), ma con molta probabilità e al di là dei gusti musicali e personali in questo contesto il mondo della creatività e della comunicazione, alle prime albe dalla fine della 70esima edizione del Festival della canzone italiana, si ritrova oggi unanime a celebrare una benedizione dopo una apparente e abbastanza lunga era di monotonia. E uno è il santo a cui prego tutti di doverci votare per rendere grazie della grazia ricevuta: Achille Lauro.

Egli ci ha illuminato sulla via dell’assuefazione, facendoci cadere dal puledro sul quale tutti ci siamo seduti convinti che cavalcare la comunicazione, specie quella digitale e il galoppare verso l’epic win, fosse ormai un giuoco di puro e “semplice” instant marketing sui social.

Veramente dei panni del santo si è svestito già la prima sera, ma sul palco più istituzionale d’Italia Achille Lauro (al secolo Lauro De Marinis e su Instagram @achilleidol) è stata la vera rivelazione di questo festival. Il più discusso, il più criticato, il più apprezzato o il più idolatrato, Lauro ci ha lasciato con la sua consapevole strategia narrativa e comunicativa le nuove Tavole della Legge del branding e del marketing scrivendo i dieci comandamenti che da oggi dovrebbero essere stampati ed affissi negli studi di tutte le agenzie creative e luoghi d’arte. Un progetto estetico e teorico studiato a tavolino da un team a più mani e più menti composto da fotografi, grafici, stilisti, case di moda, digital strategist, truccatori e manager, tutti apostoli di colui che ha voluto tutto questo e avrebbe volontariamente e coscientemente incarnato la figura mistica vestita di rivoluzione; tutti apostoli di colui che avrebbe dato vita al miracolo della creatività che si rifà libertà d’espressione fuori dagli schemi.

Chi segue Achille Lauro prima del 4 febbraio 2020 sa che per comprenderne il suo genio Instagram può ritenersi un ottimo manuale d’istruzione. Gli indizi c’erano tutti tra quei tarocchi pubblicati proprio su questa piattaforma qualche settimana fa, così come quel riferimento iconico e quasi stonato a San Francesco, sua foto profilo fino ai primi giorni di Festival. Tra quelle carte, quelle sfere, quel mistero, avremmo dovuto leggerci il futuro, ma si sa il futuro è un’incognita sorprendente che quando si manifesta non puoi mai dire “lo sapevo” perché non sarà mai come te lo eri immaginato. I semi piantati sono germogliati in frutti proibiti e stravaganti ogni giorno e ogni sera. E, proprio con la perfezione che solo Madre Natura sa dare alle cose del mondo, ecco che i quattro personaggi (il San Francesco giottesco, David Bowie/Ziggy Stardust, la marchesa e mecenate Luisa Casati Stampa ed Elisabetta I Tudor) con le loro storie legate da un unico destino votato alla libertà si sono manifestati con prepotenza, strafottenza e consapevolezza in maniera simultanea sul palco dell’Ariston e tra le storie Instagram, sbattendoci in faccia quanto sia importante, ancora oggi, giocare con strategie e letture tra più canali per incuriosire, emergere, raggiungere chiunque voglia scoprirti, capirti, comprenderti, seguirti e anche adorarti, facendolo uscire dalla convinzione che assopisce i sensi e genera mostruosa convenzione. Portandoci, in pratica, nel “posto in cui accadono i miracoli“.

E, questo modo di predicare on e off line di Achille Lauro, questo “menefreghismo positivo” risulta coerente con tutto il suo progetto musicale ed artistico fatto di contaminazione, immaginazione, creatività, emozione e introspezione. Un modo di comunicare che per necessità d’espressione deve essere privo di etichette: quando si parla di performance, di spettacolo, ogni classificazione ci intrappolerebbe nella banalità dell’essere. La sua fluidità, i suoi contrasti, il suo continuo mutare scuotono, ci fanno uscire dalla nostra zona di confort e ci dimostrano che la creatività non può richiedere definizioni precise, anzi, le rifiuta. La creatività ha bisogno sì di regole, ma che si rapportino coerentemente alle stagioni sempre in corsa dell’innovazione e della novità e anche al mutare del nostro essere: deve rispecchiarci perché così potrà manifestarsi la nostra unicità in un mondo fatto di numeri che sommati danno sempre la stessa cifra.

Chi dice che Achille Lauro sia un personaggio costruito a tavolino ha ragione. Per spaccare le convenzioni e diventare simbolo della libertà d’espressione, facendolo bene, devi studiare, devi programmare, devi imparare, devi essere curioso, metterti in discussione, essere uno stratega, imparare i modi e lo stile per farlo con elegante dirompènza, per cavalcare la metamorfosi, il cambiamento sapendo stoccare senza steccare. E sfido chiunque tra tutti quelli che glorificano la meritocrazia di competenza e gettano anatemi sui “cugggini” tutto fare parenti dell’approssimazione a schierarsi contro questo ritorno alla consapevolezza del prodotto artistico quale frutto di una programmazione paziente. Anche su Instagram, dove l’egocentrismo con questo progetto miracoloso assume finalmente un valore artistico. Assume finalmente un obiettivo sociale, si fa veicolo di un messaggio dove “a me gli occhi, please”, ma per aprire i tuoi.

Del resto, tutte le rivoluzioni riuscite e che sono diventate simbolo di rottura e dell’impeto del voler andare oltre le pesanti convenzioni o schiaccianti governi che privano della propria libertà, sono figlie dell’attesa del momento e dei modi giusti per manifestarsi. Così come i santi: son dovuti passare dal paziente martirio per essere riconosciuti come tali.

E se non sarete d’accordo, “Me ne frego”, come insegna Lauro. Ma, ullallà, non nell’accezione anarchica e senza regole che non m’importa cosa ne pensiate, ma nel senso che “la condizione essenziale per essere umani è essere liberi”. Anche di pensarla diversamente.

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