Oggi fotografiamo con smartphone, tablet, reflex, ma ci soffermiamo mai a pensare come sia nata la fotografia? Argomento che molti di voi già conosceranno, ma del quale vorrei comunque parlare partendo dall’inizio, da quel lontano 1826 quando Joseph Nicéphore Niépce realizzò quella che è conosciuta probabilmente come la prima fotografia della storia: “Vista dalla finestra a Le Gras” (nell’immagine di copertina qui sopra).
Partendo proprio dal principio è necessario ricordare l’importanza fondamentale di un elemento chiamato camera oscura. La camera oscura non è il luogo dove vengono stampate le immagini, ma un dispositivo ottico composto da una scatola oscurata (appunto) e un foro stenopeico, già… foro stenopeico… ricordo che guardai il mio docente in preda al panico perché non riuscivo a capire niente di ciò che stesse dicendo! Un foro stenopeico serve a fare entrare la luce nella scatola, che, a sua volta, proietta sul lato opposto l’immagine capovolta di quanto si trova davanti al buco. Per farla breve, il foro si comporta come un obiettivo. Dal concetto di camera oscura nasce quindi la fotografia.
Non mi dilungherò a parlare di aperture di diaframmi, tempi di esposizione e lenti, ma vorrei solo portare la vostra attenzione sul fatto che, date le minuscole dimensioni del buco e la conseguente scarsità di luce filtrata, i soggetti ritratti dovevano rimanere praticamente immobili. Si crede che Nicéphore Niépce abbia inquadrato la “Finestra di le Gras” per più di otto ore. Oggi ci faremmo un Time Lapse o un Hyperlapse con i fiocchi! Non solo. Questa immagine iconica, che rappresenta un po’ il big bang della fotografia, è stata realizzata con bitume di giudea. In pratica asfalto solubile, che alla luce si indurisce e che, ovviamente, non può più essere eliminato con nessun tipo di lavaggio.
Nella storia della fotografia, dopo Niépce meritano una citazione altri due personaggi che hanno legato il loro nome a due invenzioni fondamentali: Louis Jacques Mandé Daguerre e William Fox Talbot, ideatori rispettivamente della dagherrotipia e della calotipia.
Il dagherrotipo più famoso è anche l’immagine in cui per la prima volta comparve un essere umano (lo vedete nell’immagine in bianco e nero sopra), mentre la calotipia fu l’embrione dal quale sarebbe nata la fotografia moderna: fu sufficiente prendere un foglio di carta, immergerlo in una miscela di sale da cucina e nitrato d’argento, asciugarlo, ricoprirlo con piccoli oggetti e poi esporlo alla luce per molto tempo. Fu così che, nel lontano 1835, Talbot capì come realizzare un negativo. Pensate, una scatola con un buco, una lente e un foglio, che magia… potreste provare anche voi!
La fotografia “primordiale” veniva effettuata con camere oscure di varie dimensioni: più l’immagine era grande, maggiore doveva essere il supporto che avrebbe dovuto registrare la scena. Ho sempre sorriso pensando a Roger Fenton, il primo fotoreporter di guerra della storia, che si recò per fotografare la Guerra di Crimea (1855) con un intero carro dedicato alle attrezzature fotografiche. Ovviamente non immaginiamo Fenton come Capa: a causa dei lunghissimi tempi di esposizione, fu costretto a ritrarre sempre immagini in cui i soggetti risultavano in posa o erano deceduti.
Dal banco ottico, o fotografia di grande formato, usato da grandi autori come Ansel Adams, verso la fine dell’800 (ma anche, tuttoggi, da Luca Campigotto) nasce quella che sarà una delle icone del secolo scorso: Kodak. Era il 1888 quando George Eastman lanciò lo slogan: “voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”.
Il 1909 è l’anno del cinema. Dalla pellicola cinematografica 35 mm arriva il 24×36 (piccolo formato) che, nel tempo, avrà maggior successo e sarà usato da Oskar Barnack per le fotocamere Leica. Nel 1925 la Leitz (Leica) presenta la famosa Leica A alla fiera di Lipsia. Fotografi come Robert Doisneau e William Eugen Smith utilizzarono spesso macchine biottiche a medio formato (6×6 quadrato) come la Rolleiflex, chiamata affettuosamente da molti fotografi Rollei. Un altro apparecchio molto in voga in quegli anni (prima metà del ‘900) era la folding, un banco ottico in “miniatura” con il quale la grande Margaret Bourke-White realizzò la maggior parte delle immagini iconiche di New York all’apice dell’espansione urbanistica.
Mezzi affascinanti, che hanno subito varie trasformazioni fino all’avvento del digitale, che secondo molti ha stravolto completamente il mondo della fotografia, perché al posto della romantica pellicola, oggi abbiamo un sensore pieno zeppo di pixel che grazie a un complesso algoritmo registra e memorizza le immagini rendendoci “schiavi” dello scatto compulsivo.
Non spetta a me giudicare se il digitale abbia portato cambiamenti positivi o negativi, credo però che conoscere il passato ci aiuti a capire il futuro. Provare tecniche diverse, anche se possono risultare obsolete, non ci trasforma in bravi fotografi, ma ci insegna ad amare la fotografia per quello che è ovvero, come diceva Cartier Bresson (perdonate la solita frase vista e rivista), fotografare significa:
“porre sulla linea di mira la mente, gli occhi e il cuore; è un modo di vivere”.
In copertina “Vista dalla finestra a Le Gras” di Joseph Nicéphore Niépce