Storia della fotografia: travel photography [Parte III]

256px-Hypaethral_Temple_PhilaeA pochi anni dall’invenzione della fotografia (leggi post dedicato) le tecniche della calotipia e della dagherrotipia vennero entrambe utilizzate per documentare i monumenti e le meraviglie del mondo durante viaggi e ricerche scientifiche, ruolo che fino ad allora era spettato (ovviamente) solo alla pittura. Uno dei pregi di questa nuova tecnica era quello di offrire allo spettatore una testimonianza veritiera dei fatti, una realtà oggettivamente non modificabile, visto che all’epoca non esistevano software di fotoritocco.

Il XIX secolo fu un periodo di imperi in forte espansione territoriale e ingegneristica. La fotografia di quel periodo, nell’immaginario collettivo, rappresentava l’era dei treni a vapore, della crescita economica e della potenza delle civiltà industrializzate. I primi fotografi itineranti, che lavoravano per editori giovani e intraprendenti, con le loro immagini cercavano di soddisfare la continua bramosia del pubblico di conoscere luoghi, posti, realtà, persone che probabilmente non avrebbero mai potuto vedere in tutta la loro vita. Da citare come personaggio di spicco di questo periodo l’inglese Francis Frith che, all’inizio della seconda metà del XIX, secolo partì per un lungo viaggio fotografico a scopo turistico che lo portò in Terra Santa e in Egitto (vedi immagine a lato/Templio di Philae).

© National Geographic cover
© National Geographic cover

Nel frattempo, nel lontano 1888, a Washington, nasceva una società che, tramite immagini, viaggi e scoperte, di proponeva di

“migliorare e diffondere le conoscenze geografiche e allo stesso tempo (…) promuovere la protezione della cultura dell’umanità, della storia e delle risorse naturali”

Questa società, che si occupa di fotografia di viaggio ad altissimi livelli, di cui parlerò nel dettaglio prossimamente, è conosciuta oggi come una delle più importanti e influenti a livello mondiale: ovviamente, sto parlando di National Geographic.

Herbert Ponting
Herbert Ponting

Siamo alle soglie dl XX secolo, gli anni dei primi aviatori, dei record di velocità in automobile e della scoperta degli ultimi territori ancora non conosciuti. Era il 1912 quando le fotografie dell’Antartide di Herbert Ponting (realizzate durante una spedizione con Robert Falcon Scott) emozionavano il pubblico. Le condizioni di estrema difficoltà, l’attrezzatura ingombrante e le temperature rigide non gli impedirono di rientrare a Londra con ben 1700 lastre.

Con la nascita della Kodak che faceva della compattezza e della versatilità il proprio cavallo di battaglia, e il benessere della società, la fotografia di viaggio e la “foto ricordo” divennero accessibili a molti. Nonostante le guerre e l’avvento del foto giornalismo, questo genere ha avuto nel tempo una costante crescita, ma se prima lo scopo era quello di documentare luoghi inaccessibili, ora, con la globalizzazione e la possibilità di viaggiare in tutto il mondo, l’immagine di viaggio subiva un ulteriore cambiamento. Un’evoluzione naturale che ha aumentato il divario tra la foto classica del turista e la foto da copertina.

Grandi fotografi si sono cimentati nel realizzare reportage di luoghi lontani, dedicando ore, giorni, mesi per costruire bellissimi progetti fotografici. Rimango colpita, ogni volta, guardando le immagini di viaggio (spesso realizzate dai contributor del Nat Geo) pensando sì, alla bellezza delle loro foto, ma anche ai grandi sacrifici, alle condizioni proibitive in cui venivano relegati, spesso ai confini della Terra, a volte soggetti a gravissimi pericoli.

Herbert Ponting /The Castle Berg with Dog Sledge, September 17 1911 © Scott Polar Research Institute
Herbert Ponting / The Castle Berg with Dog Sledge, September 17 1911 © Scott Polar Research Institute

Diversi sono stati coinvolti in incidenti aerei, attaccati da squali, altri si sono ammalati di malaria o meningite e li immagino in acquitrini paludosi ricoperti di zanzare alla mercé di serpenti velenosi e chissà quali altri pericoli. Romanticamente noi adoriamo queste immagini, ma ci soffermiamo mai a capire quanto impegno si celi dietro la loro realizzazione?

Spesso i fotografi di altissimo livello sono tali non solo per il loro innegabile talento, ma anche perché scelgono di vivere la loro vita come lupi solitari, esposti al pericolo e alle disavventure. Questo vi chiedo, quando prenderete in mano una rivista dedicata a immagini di viaggio, anche la meno impegnativa: cercate sempre di immaginare chi per quell’attimo era dietro l’obiettivo e rispettatelo, perché dietro al “lampo di genio” ci sono sempre ore e ore di duro lavoro.

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