L’emergenza social(e) e umanitaria del Covid-19

L’emergenza Covid-19 è ormai quotidianità. Molti Paesi stanno vivendo un’esponenziale crescita dei contagi interni e i governi si stanno muovendo nel tentativo di arginare il problema sanitario che affligge il mondo in questo periodo. Tante le campagne attive ufficiali per sensibilizzare la società nel rispetto della vita di tutti.

Tra protezione totale e chiusura assoluta delle attività, misure drastiche sono state diramate per esortare e convincere la popolazione tutta a restare a casa ed avere accorgimenti comportamentali non di poco conto. Quindi, le nostre giornate vengono rimodulate, le abitudini stravolte e le nostre vite ricollocate negli spazi ristretti e nei tempi allungati.

Non mancano, in questa parentesi domestica, le distinzioni tra le persone che ogni giorno adottano delle strategie per gestire e affrontare la giornata. Su Instagram troviamo chi accetta di sfidarsi con i followers raccogliendo una delle tante challenge oppure chi si affaccia sul balcone in un corale concerto di condominio o di zona.

Esistono categorie di persone, o meglio artisti, che cercano di alleggerire il momento stemperando gli animi stressati grazie alla musica. Il nostro progetto InstaMusicProject ne è la quotidiana dimostrazione, ma i live concert in modalità unplugged da casa trasmessi su Instagram non stanno mancando affatto.

Si cerca di sorridere, quindi, o quanto meno di non trasmettere (almeno non troppo) sentimenti come la paura e la rabbia, soprattutto quando si tratta di canali istituzionali ufficiali. Dal Ministero alle singole iniziative locali delle varie amministrazioni, agli impetuosi bollettini aggiornati, si alternano grafiche calde, color pastello e ricche di animazioni che ci ricordano i comportamenti da seguire in questa emergenza.

Dal profilo Instagram di Labadessa

È innegabile, però, che ogni giorno nel nostro Paese, attendiamo le ore 17 per le comunicazioni ufficiali e gli aggiornamenti sulla situazione Covid-19, tendendo le orecchie alle notizie comunicate prontamente dalla Protezione Civile e dal Ministero della Salute.

E tutta questa frivolezza, questa leggerezza, questa positività finisce per essere accantonata, almeno per un po’, poiché i numeri ci riportano alla drammaticità della situazione e perché, sempre più lucidamente, pensiamo in maniera allargata alle difficoltà che affannano il nostro sistema sempre più alle prese con molte criticità.

Già, oltre l’emergenza sanitaria, il Covid-19 porta con sé anche un indotto di altre emergenze che sembrano essere derubricate, messe in secondo piano, ridimensionate e che invece occorre affrontare e gestire con la stessa dovizia. Continua ad esistere un’emergenza sociale e umanitaria che questo delicato momento sembra dimenticare e lo vogliamo ricordare: la tutela e i diritti di alcune classi svantaggiate del nostro tessuto sociale che rischiano di essere, ancora una volta, ultimi nelle priorità di azione governativa.

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Alla luce di ciò, ho intervistato Roberto Gatto, Responsabile dell’area Dipendenze e, pro tempore, dell’Area Migrazioni della Comunità Progetto Sud, nonché Coordinatore, per la Regione Calabria, del progetto nazionale “Mettiamoci in gioco” che ha l’obiettivo di promuovere le buone prassi legate al contrasto del gioco d’azzardo.

Roberto Gatto, Comunità Progetto Sud

Domanda: Ciao Roberto, grazie per questa preziosa chiacchierata. Prima di entrare nello specifico della situazione emergenziale che stiamo vivendo, ti chiedo di presentare la Comunità Progetto Sud, che ben promuove la sue attività anche sui social, e quali sono i suoi ambiti sociali di intervento e presidio.

Risposta: La Comunità Progetto Sud nasce nel 1976 da un gruppo di persone che aveva fatto un’esperienza nella Comunità di Capodarco, nata 10 anni prima. Da questa esperienza, si è deciso di proporre lo stesso modello al sud e quindi ci siamo stabiliti qui a Lamezia Terme iniziando ad operare nella disabilità come comunità di convivenza tra persone con disabilità e non. Da quel momento la comunità si è caratterizzata nell’ambito dell’accoglienza dei disabili che erano costretti in casa senza possibilità di contatti interpersonali oppure provenivano dall’istituzione totale. Nel tempo, radicandosi maggiormente nel territorio non solo locale ma anche regionale, la Comunità ha aperto le porte al presidio di altre situazioni di disagio e svantaggio sociale.

Oggi, oltre ai servizi della disabilità, operiamo anche nel settore della migrazione e delle dipendenze. Per quanto riguarda quest’ultima categoria abbiamo delle strutture autonome di accoglienza accreditate con la Regione, a regime residenziale e semi residenziale nelle quali ospitiamo non soltanto persone con dipendenza da alcool e droghe, ma anche soggetti affetti da grave e patologica ludopatia. Per quanto riguarda il mondo migrazioni invece, il servizio maggiore è il Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati – SPRAR, oggi SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati. Ci occupiamo, inoltre, per tutto il territorio regionale, specificamente lungo la costa tirrenica, anche di contrasto alla tratta sia lavorativa che sessuale grazie alle Unità di strada che hanno il compito di agganciare soggetti sfruttati e fornirgli supporto e protezione dal punto di vista legale e sociale: abbiamo dei centri di accoglienza anonimi per chi intende liberarsi da queste catene.

D: Ottima presentazione, non è facile condensare quasi cinquanta anni di servizi in 20 secondi. Procediamo allora e ti chiedo di dirmi come stanno le persone coinvolte nei vari progetti. Ci sono dei casi di positività al Coronavirus?

R: Stanno tutti bene, sia gli operatori che gli ospiti. Nei vari progetti SIPROIMI sia nella comunità di Lamezia Terme che in quella di Miglierina ogni singolo soggetto sta bene, dai singoli uomini alle famiglie con tanti bambini. Ovviamente i contatti sono ridotti nonostante la continua operatività delle nostre équipes, ma stiamo preferendo il contatto virtuale, quello telefonico, via Skype, via WhatsApp e altro per sapere come stanno, controllare che tutto vada bene, dare indicazioni e informazioni varie. Il tanto bistrattato telefonino degli immigrati ha una valenza fondamentale adesso. Ovviamente abbiamo delle criticità generali come il reperimento di mascherine e di guanti, ma questa è una problematica sistemica. Tenere dentro le comunità i nostri ospiti e non farli uscire per nessuna ragione è contrario alla nostra stessa mission, ma è troppo importante restare a casa adesso, quindi gli operatori si fanno in quattro per svolgere delle cose che prima potevano essere svolte dagli stessi utenti.

Profilo Instagram della Comunità Progetto Sud

D: C’è una sovraesposizione alle informazioni al giorno d’oggi e ogni soggetto decide per sé le migliori e quelle più affidabili. Per l’area migrazione, per la quale ogni utente ha i suoi canali istituzionali magari del Paese di origine, pur non sapendo bene quanta informazione sul virus si faccia, avete avuto delle difficoltà nel comunicare il momento delicato e le disposizioni comportamentali richieste?

R: Fino a quando è stato possibile abbiamo fatto incontri di gruppo, poi abbiamo dovuto comunicare tramite supporti digitali. Per i migranti un forte e significativo lavoro è stato svolto dalla nostra mediatrice culturale e linguistica, ma ripeto che ci sta dando una mano indiretta anche il tanto odiato telefonino che consente ai migranti di tenere traccia delle informazioni e degli aggiornamenti. C’è da dire che sono tutti molto bravi, stanno capendo la situazione e sono tutti molto rispettosi delle disposizioni.

D: Come procedono le attività di tutti i giorni all’interno delle comunità e per tutti i settori che presidiate?

R: Per quanto possibile, le attività stanno andando avanti ovviamente minimizzando o annullando i contatti interpersonali, ma ad esempio i corsi di italiano per stranieri sono regolarmente attivi grazie alle piattaforme di e-learning. In generale con i migranti non abbiamo grosse difficoltà. Per le altre aree di presidio anche qui, con le dovute accortezze, si cerca di portare avanti le attività e nelle strutture residenziali come il “Dopo di noi”, dove ci sono sei persone con disabilità grave, i nostri operatori comunque sono sempre presenti e non potrebbe essere diversamente.  

D: Si parla solo di Covid-19 e di questa emergenza sanitaria, ma ti chiedo se sono cambiate alcune cose in termini di procedure di accoglienza, sia per i migranti che per chi dovesse decidere di fare un percorso terapeutico per persone con dipendenza da alcool, droghe o azzardo.

R: Qui vengono i problemi. Nel senso che per fortuna alcune cose sono normate e regolamentate, altre di meno. Ad esempio, non abbiamo istruzioni precise rispetto a delle potenziali criticità che si possono verificare. Supponiamo, coscienti del fatto che come già detto in precedenza vi è una mancanza di mascherine e di guanti, che l’operatore risulti positivo, a quel punto non sappiamo come comportarci con i nostri beneficiari. Li sposti? Si, ma dove!? Li fai stare dentro? Rischi un contagio totale oltre che una paralisi del sistema. Ad oggi speriamo solo che non succeda questa eventualità.
Nelle comunità per persone con dipendenza abbiamo sospeso le visite familiari, ma abbiamo anche dovuto impedire ai ragazzi raggiungere le stesse.

In generale, come comunità di accoglienza, abbiamo dato disponibilità a dei Tribunali per accogliere persone con provvedimenti giudiziari. La gestione di questi soggetti è di competenza dei fori, ma se dovesse arrivare adesso qualcuno mandato dal Tribunale, siamo tenuti a prenderlo o no? Nessuno ci ha dato risposta.

Collaboriamo anche con i SERT che hanno capito la questione e fanno quello che possono, ma poi entra in ballo il diritto della persona alla cura. Ad una persona affetta da dipendenza di droghe, alcool o azzardo che decide di voler fare un percorso terapeutico, dunque consapevole che è necessario che entri in comunità, il sistema Italia quali servizi offre? Anche qui non c’è dato saperlo.

Comprendiamo che esistano delle priorità, però rimane vero che attualmente non ci sono strumenti residenziali permessi in comunità. E quindi questo diritto, chi deve garantirlo e come?

Ci sono dei vuoti che piano piano vedranno la luce e che dovremmo affrontare come sistema.

D: Avete svolto, come rete di associazioni e di progetti, delle azioni in tal senso rivolte a chi di dovere per attenzionare queste problematiche?

R: Ci stiamo muovendo tutti i giorni grazie alla rete nazionale di cui facciamo parte che è il CNCA, Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza. Ma ci stiamo ponendo anche il problema rispetto a delle categorie di svantaggio che sono fuori dalla protezione. Prendiamo i senzatetto, circa 60 mila persone che non possono seguire le disposizioni di restare a casa o banalmente di lavarsi le mani. Ci si chiede: dove vanno dal momento che molte strutture sono chiuse e quelle che sono aperte sono sature?

Foto stock di Pexels

La mensa della Caritas, purtroppo molto frequentata, continua a erogare i suoi servizi, ma come vengono applicate le regole, vale anche per i senzatetto, in materia di mobilità?

Il mondo delle carceri è altresì critico: le 12 morti di qualche giorno fa tutte ufficialmente per overdose lasciano dubbi e fanno aprire inchieste. La questione annosa del sovraffollamento ora, alla luce del Covid-19, vede la proposta dello svuotamento. Ma dove andranno a finire? Non ci sono strutture. Ci sono tante domande che stanno diventando secondarie rispetto ad un’emergenza che è reale, poiché anche i carcerati sono persone e, in quanto tali, soggetti di diritto.

Profilo Imstagram Caritas Italia

D: Qual è il tuo auspicio?

R: Esiste un insieme di emergenze, sociali, umanitarie ed economiche perché chiudono i centri, ma i contratti degli operatori ci sono e la retribuzione deve essere garantita. E dopo come sarà? Una parte dei servizi del terzo settore andrà in crisi aggiungendo, alle altre criticità, anche quelle di carattere economico. Nessuno ci ha dato indicazioni.

Io spero che qualcuno, oltre noi, si ponga presto tutte le domande che ci stiamo ponendo noi e riesca a dare degli indirizzi utili e costruttivi per tutelare le fasce svantaggiante della nostra società. Non essere abbandonati per non abbandonare.