Lo stato dell’Arte su Instagram

Tra chiusure e ri-aperture, enti e istituzioni custodi di Cultura e Arte hanno trovato nuovi spazi e nuovi linguaggi per far fronte all’emergenza. Vediamo come. Vediamo quali.

Il periodo interessato dalla pandemia è un momento dell’intera esistenza umana che non sarà dimenticato facilmente. Causa di vittime e paura, ha travolto radicalmente il presente di ognuno di noi, con conseguenze importanti anche sul nostro futuro.

Le abitudini, specie quelle relazionali, sono state completamente stravolte, così come la percezione della realtà diventata a volte talmente intangibile e intoccabile da rendere necessario il rifugiarsi in una sorta di bolla virtuale.

Ecco. “Virtuale” è forse il termine chiave di questo preciso momento storico durante il quale si è cercato in tutti i modi di salvaguardare il più possibile non solo la bellezza sentimentale dei rapporti interpersonali (gravemente minati dal distanziamento sociale coatto), ma anche la fruizione di tutta quella bellezza testimone di storia e percepibile con tutti i sensi allerta che (forse ce ne rendiamo conto solo ora) abbiamo dato per troppo tempo come scontata per la stabilità del suo esserci sempre stata: la Cultura.

Non solo nel nostro Paese, ma soprattutto in Italia, abbiamo già più di una volta visto come sin da subito si siano cercate soluzioni nei processi digitali per mantenere alta l’attenzione su settori martoriati, tentando di continuare a rendere possibile l’accesso ai luoghi dell’Arte e della Cultura.

Garantire che le discipline artistiche potessero ancora andare in scena organizzando eventi on line; migrare una mostra sul web per visitarla attraverso tour virtuali; trovare un’intesa possibile per far sì che letteratura, cinema, creatività, musica e arti visive potessero lasciarsi ispirare nel costruire narrazioni sui social e sulle piattaforme di networking in grado di diventare testimonianza globale del vissuto quotidiano, sono stati tutti modi per garantire sia il proseguimento della diffusione capillare di un immenso patrimonio altrimenti segregato tra stanze chiuse e archivi, che per favorire il libero accesso a chi non ha voluto rinunciarvi o si è ritrovato a riscoprirlo come bene tra i necessari.

A distanza di più di un anno, quindi, che cosa è accaduto? Possiamo affermare che la digitalizzazione e l’incremento della comunicazione digitale abbiano portato a una nuova consapevolezza della potenzialità dei mezzi virtuali per la riorganizzazione dell’esperienza culturale?

Viste le tante iniziative lanciate a supporto della fruizione digitale delle proprie collezioni (come indicato in questa mappa dell’agosto del 2020 condivisa da Europeana e che raccoglie tutte le iniziative digitali messe in atto dai musei europei), una questione che vale la pena trattare sono le innumerevoli possibilità di costruire nuovi metodi e nuovi modelli di legacy che, partendo dalla pandemia, si indirizzino verso un presente e un futuro di più ampio respiro.

Già. Perché il punto è soprattutto questo. Non basta approdare nello sconfinato oceano del World Wide Web per incuriosire e accattivare, ma servono strategia e obiettivi precisi che l’emergenza sanitaria all’inizio non ha fatto sì che potessero essere individuati con rapidità ed esattezza, ma che ora diventano imprescindibili per utilizzare al meglio le possibilità che si sono aperte durante la pandemia e che hanno segnato profondamente soprattutto l’approccio e il rapporto con l’utenza bloccata a casa.

Seppur le prime a rispondere siano state le realtà già avvezze alla declinazione al digitale e capaci anche di grandi investimenti (o che ne avevano già compiuti in passato virtualizzando collezioni e fruibilità), tante altre sono state quelle che, spinte dalla necessità, hanno intercettato le grandi possibilità che il virtuale ha da offrire.

Da chi ha compreso che sfruttare le nuove tecnologie è un modo per diversificare, rendere più appetibile e migliorare la fruizione da parte del pubblico, a chi ha cominciato a guardare in maniera meno guardinga la comunicazione attraverso i nuovi media, tantissimi sono stati i musei e i luoghi imputati alla cultura a porsi nella condizione di ascolto, e non solo proposta, delle nuove esigenze del proprio target, riuscendo spesso anche a intercettare nuovi segmenti di interesse.

Nell’ambito della comunicazione digitale, seppur pare che la piattaforma prediletta sia ancora Facebook, molte sono state le istituzioni culturali, private e pubbliche, a riattivare o attivare dal nuovo account Instagram, considerate le potenzialità dei tool che questo social mette a disposizione.

Approfondimenti delle opere, focus sugli ambienti, narrazioni sulle particolarità, quiz interattivi, storie e tour live, comunicazioni a tema, coinvolgimento di volti noti e influencer: tantissime sono state le modalità con cui si è cercato di coinvolgere gli utenti per intrattenerli e invitarli a visitare i luoghi dal vivo non appena possibile, con esempi a volte bizzarri e altre volte anche ben riusciti, ma certamente lontani dalle forme più didascaliche di divulgazione.

Lo stesso MiBAC (oggi ridenominato Ministero della Cultura in seguito al cambio di Governo) per primo si è attivato intensificando la propria presenza on line (e invitando i custodi di bellezza a fare altrettanto) con il lancio di hashtag e di iniziative molto simpatiche e coinvolgenti (ricorderete, per esempio, le due a cui ha partecipato anche Igers Italia, #viaggioinitalia e l’Arte ti somiglia).

O basti pensare al grande successo su Instagram di @uffizigalleries e del @museoarcheologiconazionaleta, entrambi approdati anche su Tik Tok con ottimi risultati in quanto a tasso di entusiasmo delle fasce d’età più giovani e che non hanno diniegato neanche il coinvolgimento degli influencer (Chiara Ferragni, per esempio) per costruire la propria narrazione digitale. Stessa azione, quest’ultima, considerata anche da @vaticanmuseums, altro scrigno italiano custode di stupore e tra i più seguiti su Instagram insieme al @museomaxxi, @galleriaborgheseufficiale, @pinacotecabrera, @museoegizio, per citarne alcuni in ordine sparso di successo social, tra follower e hashtag popolari.

ph @museoarcheologiconazionaleta

Ma ancora: il @museoarcheologiconapoli, il @museodel900, il @madrenapoli, per giungere poi anche alla @fondazionesandretto che ha fatto del suo particolare linguaggio social, tra meme, ironia (e tanta autoironia) un vero e proprio marchio di fabbrica (e che ha rafforzato la sua presenza on line attraverso queste modalità durante l’emergenza pandemica).

Tra i progetti comunicativi sui generis, però, occorre necessariamente citare il nascente @museotam di Matera. Una gallery ancora vergine, è vero, ma perché citarlo, allora? Perché “Doveva essere un passaggio temporaneo ma si sta rivelando un lunghissimo e tortuoso percorso ad ostacoli” l’intero intero iter burocratico per la sua apertura, che è stato sapientemente raccontato anche su Instagram attraverso l’account @volevosoloaprireunmuseo dove, tra il serio e il faceto, ci rende un racconto innovativo sulla questione, non senza sottolineare le difficoltà che la pandemia ha comportato.

Un progetto non museale, ma legato alla divulgazione di arte e cultura è invece @ambasciatori.treccani. Lanciato da poco da Treccani, questo verte sull’individuazione (anche su propria candidatura) di content creator e influencer già attivi su Instagram nel campo della divulgazione e diffusione della cultura e dei prodotti delle eccellenze italiane, dalla letteratura al design, passando per arte e artigianato.

Riversarsi nella digitalizzazione portando il proprio patrimonio e le proprie vecchie e nuove proposte nel mondo virtuale non è stata la panacea di tutti i mali, è vero. Di certo, però, ha contribuito a una grande rivalorizzazione della collezione di meraviglie di cui molti luoghi della cultura sono custodi, nonostante non sia stato per tutti semplice resistere alla reale chiusura forzata, prolungata e a singhiozzo.

Ora che stiamo gradualmente ritornando alla “normalità” del nostro vivere i luoghi oltre le quattro mura domestiche o del lavoro, prepariamoci a condividere il più possibile le nostre esperienza. Magari prima godendone dal vivo, e poi riportandole on line così da continuare a costruire un grande racconto digitale in cui forse noi utenti non siamo più solo un punto d’arrivo, ma d’inizio.

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