App per il digital detox, ne abbiamo bisogno?

App per il digital detox, ne abbiamo bisogno? Con l’inizio del nuovo anno, si sa, si è soliti fissare buoni propositi per l’anno appena iniziato. Tra questi, uno dei più ricorrenti recentemente è il “digital detox“, ossia la pratica per cui si riduce o limita il tempo speso nell’utilizzo di mezzi digitali. Solamente su Instagram, quasi 350mila post riportano, ad oggi, l’hashtag #digitaldetox, tra buoni propositi per utilizzare meno il cellulare e post con consigli per “andare offline”. Sempre su Instagram, non sarà sfuggito all’occhio di alcuni un annuncio particolare: un’applicazione che si propone di trasformare il nostro smartphone in un telefono “anni ‘90”, se così possiamo chiamare un telefono che non sia il classico smartphone dallo schermo attraente e colorato, il tutto con lo scopo di limitare le distrazioni che questo può creare durante tutto l’arco della giornata.  

Screen ricavato dall’app di Instagram

Dopo aver navigato per un’oretta su Instagram, in orario notturno, l’algoritmo ha proposto anche a me l’idea di un “digital detox”; non un cambio drastico abbandonando lo smartphone in un cassetto (ad esempio), ma la famosa applicazione prima citata che si presenta come risolutiva dei problemi di concentrazione e delle distrazioni che sorgono dall’uso dello smartphone. Una sorta di placebo da attivare per sentirsi meno in colpa di utilizzare il telefono pensando che, in fin dei conti, l’app lascia comunque accesso a tutte le funzionalità del telefono ma con un design meno attrattivo. Per fare un esempio, per entrare su Instagram non c’è la classica icona colorata, ma bisogna selezionare il nome dell’app da un elenco in bianco e nero.

Per utilizzare l’app, non basta scaricarla gratuitamente dallo store digitale, ma viene richiesto un abbonamento (4,99 al mese, oppure una tantum di 29,99) per continuare ad usufruirne dopo i tre giorni di prova. 

E come questa, tante altre sono le applicazioni promosse sugli store digitali per “il benessere dell’utente”, tutte in vetta alle classifiche delle app nella sezione “produttività” e tutte con lo stesso comun denominatore: richiedono l’accesso alla maggior parte dei dati, delle notifiche e delle app presenti sul nostro dispositivo. Per utilizzare queste app, come per qualsiasi altra applicazione viene richiesto di accettarne i termini e le condizioni che, però, non sempre sono chiari.

Schermata ricavata da Play Store

Dove vadano a finire i dati raccolti e, soprattutto, per quanto tempo restano negli archivi di queste società non è sempre ben chiaro all’utente che accetta i termini e le condizioni per utilizzare l’app.

Prendendo come esempio Forest, competitor di Minimalistphone, il cui punto di forza è invitare l’utente a non utilizzare il telefono impostando dei timer durante i quali la propria pianta virtuale cresce, nei termini e condizioni viene riportato: “I Dati Personali saranno trattati e conservati per tutto il tempo richiesto dalla finalità per cui sono stati raccolti e potranno essere conservati più a lungo a causa dell’obbligo legale applicabile o in base al consenso degli Utenti.” Dove sono elaborati e raccolti questi dati? La risposta è sempre nei termini e condizioni: “I Dati sono trattati presso gli uffici operativi del Titolare e in qualsiasi altro luogo in cui si trovano le parti coinvolte nel trattamento”. Una risposta precisa alla domanda, quindi, non c’è. Nel caso di Minimalistphone, la privacy policy riporta le stesse diciture menzionate prima.

Un anno fa, la notizia di un gruppo di ragazzi di New York che avevano deciso di abbandonare gli smartphone per tornare ad utilizzare modelli di cellulari senza internet ed app era rimbalzata sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, non sarà forse più efficace questo metodo che non il placebo offerto da app terze, spesso anche sotto pagamento di piani di abbonamento e concessione dei propri dati? 

Se si vuole essere più coscienti del tempo speso con il proprio smartphone, un’alternativa che tutti abbiamo installato di default sul telefono è la funzione benessere (“tempo di utilizzo” sui dispositivi Apple) presente nelle impostazioni. Accedendovi, vengono fornite statistiche sul tempo di utilizzo totale e diviso per app, il tutto senza dover affidarsi ad app terze e avendo comunque un quadro completo. Come per le app che si propongono come provider di dati esclusivi relativi ai nostri profili Instagram, ad esempio il caso di Report+, ricorrere ad app terze può rappresentare un pericolo per i nostri dati.

Tornando alla domanda con cui abbiamo aperto questo articolo, direi che la risposta è no; ciò di cui abbiamo bisogno non è un’ulteriore applicazione nella home, ma raggiungere un equilibrio vero tra realtà e digitale.

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